“Mai come ora è determinante rilanciare e valorizzare l’occupazione femminile, sia attraverso il lavoro autonomo che attraverso quello subordinato. L’Europa, insieme al sistema delle grandi riforme e agli investimenti strutturali indispensabili alla ripresa, chiede al nostro Paese un impegno chiaro che possa condurre al superamento dei tanti gap legati al lavoro femminile. L’artigianato, la piccola impresa e l’attività professionale rappresentano, per le caratteristiche intrinseche, una realtà che offre significative opportunità alle donne. Tuttavia, come è noto, non mancano le difficoltà.” Così Alberta Bagnoli, presidente CNA Impresa Donna Firenze, commentando la consistenza numerica delle imprese femminili del capoluogo toscano resi noti dalla Camera di Commercio.
Si tratta di 20.098 imprese attive (il 22.6% di tutte quelle esistenti nella Metrocittà): 12.323 nell’area fiorentina, 4.048 nell’empolese valdelsa, 1.763 nel Mugello Valdisieve, 1.112 nel Chianti e 852 nel Valdarno Superiore. Un comparto, artigiano al 26%, che ha retto alle strette imposte dai rincari delle materie prime, dall’aumento dei costi energetici e dalla pandemia, meglio del resto del sistema economico: le imprese femminili sono rimaste infatti essenzialmente stabili sia nell’ultimo anno (-0,2%) che in quello precedente (-0,2% nel 2022 rispetto al 2021) al contrario delle imprese della città metropolitana che, globalmente, sono invece diminuite, nello stesso periodo, del 2% (2023 rispetto a 2022) e del 1,4% (2022 rispetto a 2021).
“Per promuovere l’auto-imprenditorialità – continua Bagnoli – sono necessari interventi ben calibrati negli ambiti della conciliazione vita-lavoro e del welfare. Su quest’ultimo punto è importante ricordare che il welfare crea occupazione, dunque economia, e non può più essere considerato una necessità solo al femminile, ma deve essere elemento cardine del nostro modello sociale e di sviluppo. In quest’ottica CNA propone di lavorare su questi punti: sistemi di detraibilità/deducibilità; Iva al 5% anche per i servizi di welfare prestati da strutture private diverse dalle cooperative sociali e loro consorzi (attualmente al 22%); incentivazione alla creazione di reti territoriali di conciliazione di vita-lavoro per servizi di welfare che veda la collaborazione di attori pubblici e privati, con un’attenzione specifica alle esigenze di flessibilità soprattutto rispetto agli orari e alle modalità di erogazione; voucher destinati alle imprenditrici e alle lavoratrici autonome per l’acquisto di servizi di cura e assistenza.”