MANIFESTO DEI RESTAURATORI CNA

Il Ministero dei Beni Culturali, è una Istituzione  della Repubblica italiana o della “Repubblica di Miranda” (dal film di Luis Buñuel “Il fascino discreto della borghesia), pervaso com’è da un mélange  surreale, irrisolvibile, tra realtà storica del restauro e allucinata ipocrisia?

Se potessimo considerarlo davvero una Istituzione repubblicana, allora questo Ministero agirebbe in maniera imparziale ai sensi di legge e non  rivelando al contrario, per l’ennesima volta, tutti i vizi di una burocrazia meschina, che fiancheggia surrettiziamente l’azione di lobbying di presunte “élites”, peraltro autoproclamatesi tali.

Nell’ultimo periodo, almeno a partire da Pasqua, abbiamo assistito ad una serie imbarazzante di interventi arroganti e incomprensibili, ai limiti del grottesco:

1. nel mese di aprile 2016, la pubblicazione reiterata di elenchi sbagliati dei collaboratori restauratori (tecnici del restauro), che avevano superato la selezione pubblica, relativa al bando pubblicato a settembre 2014, senza dare alcuna giustificazione né comunicazione agli interessati

2. a maggio, con inusitata urgenza, la pubblicazione del bando ( c.d. RIPAM) di assunzione di 500 funzionari fra cui 80 restauratori: tra i requisiti anche il possesso di quanto previsto all’art.182 del codice dei beni culturali ( cosi come modificato dalla legge 7 del 2013); peccato che la selezione pubblica per il riconoscimento della qualifica di restauratore (indetta dal medesimo schizofrenico Ministero) sia ancora in corso e che la commissione che tali requisiti deve accertare dovrà (dovrebbe) terminare il suo lavoro come da decreto, il 31 luglio e quindi ben oltre i termini del Concorso RIPAM;

3. a giugno il Ministro Franceschini firma il decreto di nomina del gruppo di lavoro che ha il compito di esaminare e proporre modifiche relative al nuovo codice appalti per i beni culturali, all’interno del quale non c’è né un rappresentante CNA né uno Confartigianato, ovvero le due associazioni maggiormente rappresentative sono state escluse (!);

4. e ora il 21 luglio, incredibilmente, viene pubblicato “… ai fini della partecipazione degli aventi diritto (al bando di concorso RIPAM MIBACT per funzionari restauratori) …l’elenco di coloro i quali risultano essere in possesso del diploma conseguito presso una scuola di restauro statale di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, a seguito della verifica compiuta dalla Commissione incaricata di valutare i requisiti dei candidati all’acquisizione della qualifica di restauratore di beni culturali ex articolo 182 c. 1 bis del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42…”   Vale a dire l’elenco dei soli diplomati delle SAF( Scuole di Alta Formazione

Una cosa del genere non si è mai vista! Con un bando in corso, si pubblica un elenco parziale, sostanzialmente pregiudizievole del diritto degli altri partecipanti.Si ricorda al Ministero dei Beni Culturali, che i requisiti per la qualifica di restauratore sono definiti dalla Legge 7/2013 di modifica dell’art.182 del D.lgs 22 gennaio 2004 n. 42 “Codice dei Beni Culturali”; per cui, quando si parla di qualifica di restauratore di beni culturali si deve far riferimento a tutti i soggetti che ne siano in possesso!!

Non sono tollerabili aperture di “corsie preferenziali” tracciate ipso facto proprio dal Ministero dei Beni Culturali.

Il messaggio surrettizio appare evidente: quello di indicare contra legem e con una visione opportunistica e riduttiva della storia del restauro italiano,  quali sono i RESTAURATORI VERAMENTE QUALIFICATI, cioè solo una specifica cerchia di operatori economici.

Si vuole forzare e deformare le norme approvate dal Parlamento in nome del Popolo sovrano con subdoli e capziosi provvedimenti amministrativi, introducendo così  un’impropria, inaccettabile disparità di trattamento fra i restauratori?  É questo che fa una Istituzione Pubblica?

É decisamente da rimarcare  come l’elenco degli “eletti” non abbia nessun senso procedurale proprio ai fini concorsuali (era risaputo che il titolo delle SAF  consentiva la qualifica ope legis), in più, addirittura introduce elementi di turbativa anche tra chi ne fa parte.oltre all’elenco dei diplomati,nelle colonne a destra compaiono altri dati valutativi, tipo i giorni di attività o la determinazione dei settori, che oltretutto appartengono alle libere scelte di chi ha voluto utilizzare una parte o tutto il suo curriculum per qualificarsi).

Allora, se è superfluo per il concorso, perché mettere in piedi questo “capzioso elenco”,

L’arch. Francesco Scoppola (direttore generale Educazione e Ricerca del MIBACT) abbia l’animo di dirci onestamente a chi giova realmente questo Decreto. Perché è stato emanato?

La qualifica non è un concorso a punti, è un passaggio di verifica. Se il soggetto richiedente è in possesso dei requisiti previsti dalla norma di settore, quali che essi siano, egli acquisisce in forza di legge la relativa qualifica professionale. In Italia ce ne sono 176 e funziona in tutti i casi così, possibile che solo per il Ministero dei Beni Culturali non corrisponda?.

È incontestabile poi che in questo modo si venga a creare una turbativa nel mercato, che implicitamente consegna a stazioni appaltanti, P.A. e privati, un riferimento preferenziale su chi figura già nell’elenco del Ministero e, quindi, può essere invitato (subito) a partecipare all’appalto di restauro; attenzione, che in tal modo si promuove un vero e proprio trust !

Gli operatori del settore hanno dovuto attendere 21 anni ( 1994-2015), per vedere pubblicato il bando di selezione in modo da poter acquisire la qualifica di restauratore e veder riconosciuta istituzionalmente la propria professionalità !

Se il Ministro intende vanificare le norme in questione, rispetti l’ordinamento democratico e si presenti in Parlamento. Il Ministro spieghi per quale motivo esclude le organizzazioni maggiormente rappresentative dalle consultazioni sul Nuovo Codice degli Appalti.

Ci preme riaffermare, da ultimo, che in un’economia di mercato tutti i soggetti che rispondono ai requisiti di legge possono concorrere paritariamente, altrimenti, evidentemente, viene meno il principio di concorrenza e, ciò che rimane, è solo una monopolistica, autoritaria arbitrarietà di giudizio e si crea un “trust”, che è vietato dal nostro ordinamento e segnalabile all’Autorità Garante del Mercato e della Concorrenza..

Gran parte dei beni culturali sono patrimonio dell’umanità, quindi un patrimonio non solo nazionale ma mondiale, e non come pensa il Ministero dei Beni Culturali appannaggio di elite.