Alcune linee guida ANAC sono da riscrivere, la qualificazione delle stazioni appaltanti (art.38, comma 2) al momento persa di vista dopo che il MIT ha annunciato di aver inviato la bozza di Decreto a Palazzo Chigi per l’approvazione finale.
Ad un anno dalla riforma immaginata per rimettere in pista il mercato degli appalti pubblici, le imprese cominciano a temere che sussistono concrete difficoltà nel far decollare il cuore della riforma, vale a dire la necessità di qualificare le Stazioni Appaltanti.
Il principio sul quale si muoveva il Codice era semplice: non tutte le amministrazioni potranno più fare tutto; è necessario ridurne il numero (32.000 escluse le scuole, secondo il MIT) e migliorarne le competenze. L’ANAC – inoltre- dovrebbe istituire un apposito Albo al quale le SA dovranno necessariamente iscriversi per tutti gli appalti di lavori di importo superiore a 150mila euro, oppure –alternativamente- affidarsi a una centrale di committenza.
L’elenco, secondo la bozza di decreto, sarà distribuito su quattro livelli e per ognuno di questi ci sarà un numero minimo di personale interno qualificato. Su questo punto si è bloccato il testo del decreto perché individuare limiti elevati si rischia di mettere in fuorigioco migliaia di stazioni appaltanti.
Si tratta di una scelta difficile che deve compiere il Governo e non a caso nelle scorse settimane è emersa la volontà di puntare ad una riduzione delle SA meno drastica: scendere a quota 6.000. Intanto la bozza di decreto è sospesa a Palazzo Chigi, e ciò blocca anche il decreto che dovrà definire gli ambiti territoriali di riferimento per le centrali di committenza, questioni che sono strettamente legate tra di loro.
Un altro decreto “sospeso nell’aria” riguarda l’articolo 77 e il nuovo albo ANAC per i commissari di gara esterni: altra novità chiave del Codice che serve per limitare i casi di corruzione poiché gli esperti che compongono le commissioni dovranno essere valutati dall’Autorità per accedere a un elenco, sottoponendosi tra l’altro ad una vigilanza specifica. Nonostante l’importanza della materia, non si scorge nessuna fretta nell’introdurla. Il decreto MIT che fissa le tariffe di iscrizione all’albo e i compensi per i commissari attualmente è fermo e se non viene pubblicato l’ANAC non potrà emanare il regolamento che attiva materialmente il nuovo albo.
Cammino difficile anche per un altro importante provvedimento che deve varare il ministero alle Infrastrutture: il Dm che dovrà facilitare la diffusione del BIM in Italia, fissando obblighi per le stazioni appaltanti a partire dal 2019.
L’uso del BUILDING INFORMATION MODELING (BIM) riguarderà innanzitutto i lavori complessi. L’obbligo scatterà dal primo gennaio 2019 e si comincerà con le opere di importo superiore a 100 milioni. Si passerà poi – dal primo gennaio 2020 – alle opere di importo superiore a 50 milioni. Dal primo gennaio 2021 l’obbligo riguarderà anche le opere oltre 15 milioni. E progressivamente si arriverà al primo gennaio 2025, quando saranno sottoposte all’obbligo anche le opere sotto il milione.
La fase di consultazione pubblica si è chiusa il 3 luglio, ma non ci sarebbe nulla di cui stupirsi se qualche dubbio sul Dm venisse fuori da parte di chi dovrà utilizzare le nuove regole: cosa che potrebbe rallentare l’approvazione definitiva.
Insomma, molti punti qualificanti della riforma sono in mezzo al guado, c’è la pausa estiva che incombe, e poi bisogna considerare l’eventualità di future e prossime elezioni politiche: al momento quella del Codice degli appalti, anche post correttivo, sembra una riforma “in sospensione”.