Nel più complessivo ambito del costo del lavoro, il divario tra Italia e Svizzera sul terreno degli oneri previdenziali e dei costi non salariali è tale da rendere molto spesso impossibile, per le imprese italiane situate presso il confine con la Repubblica Elvetica, trattenere personale altamente qualificato sempre più attratto da imprese concorrenti del Canton Ticino.

Si tratta di un fenomeno fotografato dai numeri. Secondo i dati disponibili presso l’Ufficio di Statistica del Canton Ticino (marzo 2015), contro i 35.347 del secondo trimestre del 2005, nel secondo trimestre del 2015 i lavoratori transfrontalieri erano 62.555: tra questi, 5.389 figure intellettuali e scientifiche, 6.134 figure tecniche intermedie, 10.633 “commerciali”, 10.678 artigiani ed operai specializzati.

In particolare, per le figure addette a professioni ad alto contenuto scientifico ed intellettuale si registra un incremento degli esodi verso le imprese ticinesi pari al 195% in dieci anni.

Il mondo del lavoro ticinese vedeva già nel 2013 la presenza di 4 lavoratori stranieri su 10.

La portata del fenomeno va ben oltre il dato quantitativo e le possibili positive ricadute in termini di recupero di liquidità per le famiglie italiane e di consumi per il mercato interno: il gap di competitività si acuisce infatti gravemente per il fatto che personale caratterizzato da un elevato profilo di competenza tecnica e di specializzazione, dopo essere stato formato dalle istituzioni scolastiche italiane e dalle nostre imprese, si sposta in Ticino senza alcuna concreta possibilità di efficace rilancio economico da parte dell’imprenditore italiano che lo vede partire.

Da recenti rilevazioni (Sole 24 Ore e Corriere del Ticino) le componenti non salariali del costo del lavoro in Italia sono al 28,2% del totale, in Svizzera al 20,9%: un gap in grado di spostare molto la bilancia competitiva a favore delle imprese ticinesi.

Il salario medio di un lavoratore transfrontaliero in Ticino ammonta a 4.658 franchi (il 18% in meno del salario medio di un lavoratore di nazionalità elvetica): si tratta di un valore pressoché inarrivabile per le imprese italiane di confine alla luce degli attuali oneri fiscali.

E’ categorico il Presidente regionale di CNA Produzione, Enrico Benati che è anche il Presidente provinciale di Cna Como: “Siamo convinti che serva, già nella Legge di stabilità 2016, una misura di supporto fiscale alle imprese italiane situate in prossimità del confine con la Svizzera, al fine di ridurre il divario e di permettere una più efficace azione di mantenimento della manodopera qualificata e delle competenze specialistiche”.

Naturalmente, un primo ambito di possibile risposta è legato al potenziamento della detassazione dei premi e del salario di produttività, su cui i valori e le soglie attualmente previste dalla bozza di Legge di stabilità appaiono largamente insufficienti, e su cui si potrebbe circoscrivere un intervento più penetrante per determinate figure professionali e per determinate aree di confine.

Ma affinché una misura di questo genere possa realmente impattare sulle possibilità di un’impresa italiana di usare la leva economica e per trattenere imprese specializzate, occorrerà che Governo e Parlamento prevedano anche forme di significativa decontribuzione degli incrementi salariali.

Tag: