Alzi la mano chi sa che cos’è un “buono lavoro”, quanto vale e dove si può comprare. Se lo sapete, e conoscete quante ore di lavoro ha fatto registrate solo nel 2014, siete davvero bravi in economia. Se non lo sapete, ecco la storia dei voucher e del loro successo poco narrato.

Sono nati con la Riforma Biagi nel 2003. Privati e imprenditori possono comprarli o dal tabaccaio o per via telematica sul portale dell’Inps. E dopo un lungo rodaggio hanno avuto due importanti messe a punto: nel 2012 e con il Jobs Act di Matteo Renzi a giugno. Dopo una partenza tutta in sordina, l’uso del voucher è aumentato a ritmo costante fino a impennarsi negli ultimi tre anni, quando si è quasi triplicato, facendo toccare al numero complessivo di buoni venduti, solo nel 2014, la super cifra di 69 milioni, 195mila e 377. Un numero di voucher, e quindi di ore lavorate, che equivale  – all’ingrosso, molto all’ingrosso – a circa 33mila posti di lavoro a tempo pieno. Tanto per rendere l’idea della crescita a razzo: nel 2012 si erano fermati a 23 milioni, 817mila e 325. Nel 2008 erano solo 535mila e 985. In sei anni il loro numero è aumentato di 129 volte. Lo rivela una indagine condotta dal Centro Studi della Cna, su dati Inps, che prende in esame il periodo nero per l’economia italiana 2008/2014.

Il voucher è una risposta di emergenza alla Grande Crisi? Forse, ma non è certo questa la sua missione. Prima di tutto è uno strumento per assicurare ai privati la possibilità di “comprare” un aiuto per i piccoli lavori e per consentire alle imprese una flessibilità, quasi in tempo reale, utile a tappare improvvisi buchi organizzativi o a rispondere prontamente a picchi di attività. Nella totale trasparenza e correttezza  fiscale, previdenziale, assicurativa. L’antitesi del “lavoro in nero”. Una offerta di legalità, accessibile a tutti,  chiara e semplice, accolta con favore crescente da cittadini e imprese.

Tra il 2008 e il 2014 è parecchio mutato il profilo  dei “prestatori” via voucher per età e per genere. Nel 2008 quattro su cinque erano maschi con un’età media vicina ai 61 anni. Le donne erano appena più giovani: avevano oltre 56 anni e mezzo. Quasi certamente pensionati. Nel 2014 l’età media si è abbattuta, calando a quasi 38 anni per gli uomini e a 34 anni e mezzo per le donne. Nel mercato dei voucher sono entrati i giovani e soprattutto le giovani. L’anno scorso le donne  hanno idealmente piantato una bandierina rosa, sorpassando gli uomini e arrivando a quasi il 52 per cento del totale. In sei anni sono cresciute 97 volte, gli uomini si sono fermati a 25.

Il commercio, con il 18,2 per cento dei buoni acquistati, è il settore che più utilizza i voucher. A seguire i servizi (14 per cento), il turismo (12,3 per cento) le manifestazioni sportive (9,1 per cento), il giardinaggio e le pulizie (7,6 per cento), le attività agricole (7,3 per cento), i lavori domestici (2,6 per cento). C’è uno stock, infine, del 28 per cento che l’Inps classifica come “altre attività”.

Nei sei anni della Grande Crisi, tra il 2008 e il 2014, i voucher utilizzati sono stati 162 milioni, 136mila e 535. La regione che, nello stesso periodo, se n’è giovata di più è stata la Lombardia (26,5 milioni di “buoni lavoro”), seguita da Veneto (23,2 milioni), Emilia-Romagna (19,8 milioni), Piemonte (15 milioni) e Friuli-Venezia Giulia (11 milioni). Una classifica che muta profondamente se si rapportano i voucher venduti alla forza lavoro. In questo caso, in testa alla graduatoria balza il Trentino-Alto Adige con 20,8 “buoni lavoro” a residente tra i 15 e i 65 anni. A seguire, nell’ordine, Friuli-Venezia Giulia (20,6), Veneto (10,4), Marche (9,7), Emilia-Romagna (9,5). La media nazionale è di 6,4 voucher per ognuno dei 25.514.924 di italiani in età lavorativa. Sotto questo spartiacque non solo tutte le regioni meridionali ma anche Liguria, Toscana, Lombardia e Lazio.

 

Il commento della Cna

“I voucher sono un ottimo strumento, che le recenti riforme hanno rafforzato e permesso di utilizzare  in tutti i settori produttivi. Infatti non è un meccanismo che genera precarietà, ma una misura in grado di agevolare le attività che, per il carattere occasionale e il modesto impatto economico, non giustificano altre tipologie di rapporto di lavoro”.

“In particolare va sottolineato che i voucher costituiscono uno strumento utile a far emergere dal nero lavori saltuari o secondi impieghi riducendo il ricorso a lavoretti illegali. Il “buono lavoro” è molto importante perché offre ai giovani l’opportunità di un’esperienza lavorativa, sia pure di breve durata”.

“L’assenza di un sistema di collegamento tra domanda e offerta di lavoro costituisce, senza dubbio, il maggiore ostacolo all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. I Centri per l’impiego sono poco strutturati, a parte in alcune realtà dell’Italia settentrionale, e anche le agenzie private non riescono a facilitare adeguatamente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Tanto che il principale canale di ricerca di occupazione rimane l’intermediazione informale (amici, parenti, conoscenti), uno strumento diventato oggi del tutto inadatto, che demotiva i giovani migliori”.

“Il voucher è uno strumento flessibile che permette a domanda e offerta di lavoro, temporaneo, di incontrarsi e accordarsi con patti chiari e senza nessuna spiacevole conseguenza. Infine da non dimenticare che il voucher consente all’imprenditore di saggiare le qualità e le attitudini dei giovani. Per tenerne conto in futuro per attività più strutturate”.

 

Scheda 1 – “La storia”

Il “buono lavoro” (o voucher) entra nella normativa italiana con la Riforma Biagi (dal nome del  promotore, il giuslavorista Marco, ucciso dalle Brigate Rosse), com’è nota universalmente la legge 30 del 14 febbraio 2003, varata con Roberto Maroni ministro del Lavoro e Maurizio Sacconi sottosegretario incaricato del dossier. Lo scopo era quello di regolamentare il lavoro accessorio (vale a dire le prestazioni occasionali, non riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo  saltuario) e tutelare i rapporti non regolamentati.

Una profonda innovazione alla Legge Biagi arriva nove anni dopo la sua nascita con la Riforma del Lavoro dell’allora ministro Elsa Fornero. Dal 18 luglio del 2012, quando entra in vigore la legge 92 del 28 giugno 2012, è possibile utilizzare i voucher in tutti i settori di attività e per tutte le categorie di prestatori, fatta eccezione per il lavoro agricolo, disciplinato autonomamente. Infine, il decreto legislativo 81 del 15 giugno scorso (da tutti conosciuto come Jobs Act) ha innalzato il limite annuo dei compensi per le prestazioni, ha aumentato le categorie di “prestatori” e imposto l’acquisto del voucher per via telematica.  

 

Scheda 2 – “Il valore”

Il voucher che l’imprenditore, o un singolo cittadino,  compra a 10 euro ha un valore netto, per il lavoratore, di 7,5 euro. Il residuo 25 per cento va per il 13 per cento alla gestione contributiva separata dell’Inps, per il 7 per cento all’Inail e per il 5 per cento sempre all’Inps, ma a titolo di compenso per la gestione del servizio. Il valore del “buono lavoro” corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione (salvo che nel settore agricolo, dove il calcolo viene effettuato sul contratto di lavoro) e garantisce la copertura previdenziale con l’Inps e l’ombrello assicurativo contro gli infortuni con l’Inail.

I “prestatori” che possono accedere al lavoro accessorio sono: pensionati; studenti (giovani sotto i 25 anni regolarmente iscritti a un ciclo di studio) nei periodi di vacanze natalizie, pasquali, estive; cassintegrati e disoccupati; lavoratori part time; extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno che consenta di svolgere attività lavorative e di studio. E, grazie al Jobs Act, anche dipendenti a tempo pieno.

Il Jobs Act, inoltre, ha portato a 7mila euro al netto delle trattenute il limite annuo dei compensi per le prestazioni, lasciando inalterato a 2mila euro il tetto del singolo committente, imprenditore o libero professionista, rispetto allo stesso prestatore.  

 

 

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