L’elettricista fiorentino diventato scrittore

“Il lavoro si impara rubandolo, con gli occhi”. Parola di Boris Spighi, 83 anni, di cui 61 passati a fare l’elettricista “con passione”, perché “senza non si va da nessuna parte”.
“Dopo le scuole medie mi ero iscritto al primo anno di geometra, ma ero un po’ vagabondo – racconta con quell’ironia fiorentina che te lo fa immaginare subito in calzoncini corti – così quando dissi a mio padre, che faceva l’elettricista per l’esercito, che volevo smettere, mi disse: ‘Non vuoi andare a scuola? Bene, da domani vieni a lavorare con me’”.
Una vita passata a realizzare impianti elettrici per l’esercito, il Genio militare, l’Università di Firenze e l’Ospedale Careggi. Uno dei mestieri artigiani per eccellenza il suo, che da sempre però trova poco spazio nei racconti. Ed è forse per questo che Boris, iscritto da oltre 50 anni alla CNA e oggi Presidente onorario di CNA Firenze, ha deciso di scriverla lui la sua storia.
Lui che negli anni, abbandonata una passione, ne ha trovata un’altra: la scrittura. “Ho realizzato quattro o cinque libricini – racconta con modestia – sulla CNA, che ho visto letteralmente nascere, sulla guerra, la Resistenza, ma anche sui fiorentini e i senesi che non son mai stati tanto amici”.
“Libricini” con titoli che la dicono lunga sullo spirito, come “Quando ci facevamo la barba con le tre teste e si fumava di nascosto le tre stelle”.
E poi racconti, come quello che segue, di una Firenze in piena alluvione e di “una delle rare volte che degli elettricisti ancorché artigiani furono orgogliosi del loro mestiere che non è pubblicizzabile perché non partecipa a mostre e fiere”.

Firenze era in piena alluvione.

Insieme ai miei operai si lavorava giorno e notte per smontare ed asciugare parti di bruciatori delle caldaie di riscaldamento, rimettere in opera e sperare nel nuovo funzionamento in attesa dei pezzi di ricambio al momento introvabili.

Lavoravamo quasi esclusivamente per il Genio Militare quindi la nostra opera era dedita a caserme e depositi dell’esercito.

La mattina del 5 un colonnello del genio ci fece comunicare da un telefono da campo di andare al consolato USA sui Lungarni dove ci aspettavano dei soldati americani con un gruppo elettrogeno di grandi capacità già pronto su un autocarro militare.

Le strade erano tutte sconvolte dal fango, ma come Dio volle ce la facemmo, trovammo ad aspettarci questo TIR enorme con un gruppo elettrogeno automatico molto superiore ai 150 Kw.

Lo dovevamo accompagnare all’Ospedale Meier, quello dei bambini, allora nella zona del “Pino”. Si parti, noi con davanti il nostro furgoncino e dietro piano piano questo “mostro” enorme.

Si arrivò all’ingresso stradale dell’ospedale, noi smontammo lo sportello della rete della allora Valdarno, la società elettrica, si staccarono i cavi di arrivo stradali ed in luogo di questi si attaccarono i cavi del Gruppo.

Anche l’ospedale aveva un piccolo gruppo elettrogeno per le emergenze che non funzionava più a causa dell’alluvione. I soldati americani appena tutto pronto misero in moto ed inserirono la corrente elettrica prodotta dal “mostro”.

Entrammo tutti dentro l’Ospedale per controllare l’opera, mentre il “mostro” fuori nella strada faceva sentire il suo grande rumore del motore a benzina.

Ci ricevette il Professor Cocchi che ci porto in una sala dove vi erano tante incubatrici con tante creaturine dentro e ci disse, con le lacrime agli occhi, ragazzi è andata bene, grazie, ancora un po’ e si perdevano tutti questi neonati.

Si cominciò a piangere di contentezza anche noi e anche gli americani che non capivano una parola di italiano, ci abbracciammo tutti e poi andammo via.