CNA, Confartigianato, Casartigiani confermano la contrarietà all’introduzione di un salario minimo per legge. Lo hanno ribadito oggi in un’audizione davanti alla Commissione Lavoro della Camera sulle proposte di legge in materia di giusta retribuzione e salario minimo.
Un intervento legislativo in tema di retribuzioni – hanno sottolineato – provocherebbe una serie di disfunzioni: dal rischio di fuga dalla contrattazione collettiva alla mancata valorizzazione della contrattazione di secondo livello e del welfare di bilateralità, fino alla complessità di determinare un salario minimo che comprenda gli elementi che compongono la retribuzione differita (ferie, permessi, ROL, quota del TFR, welfare, bilateralità) e che tenga conto delle differenze tra i contratti riguardanti settori diversi.
In particolare, a giudizio di CNA, Confartigianato e Casartigiani, l’introduzione di un salario minimo legale è improponibile poiché, nel caso in cui fosse inferiore a quello stabilito dai contratti collettivi, ne favorirebbe la disapplicazione e, qualora fosse più alto, si creerebbe uno squilibrio nella negoziazione degli aumenti salariali. In entrambi i casi, il risultato sarebbe un peggioramento delle condizioni dei lavoratori.
Inoltre, il salario minimo per legge vanificherebbe gli sforzi della contrattazione collettiva per individuare soluzioni alle mutevoli esigenze organizzative e di flessibilità delle imprese e rischierebbe di colpire tutele collettive e sistemi di welfare integrativi in favore dei dipendenti, come quelli applicati nei settori dell’artigianato e delle Pmi. E’ il caso dei contratti collettivi sulle prestazioni bilaterali che determinano vantaggi economici per i dipendenti ben superiori alla sola quota di contribuzione.
Le tre Confederazioni insistono, invece, per estendere il più possibile l’integrale applicazione del contratto collettivo e contrastare il dumping contrattuale, attraverso una normativa che incentivi l’applicazione dei contratti di qualità, e potenziando la vigilanza ispettiva.
D’altronde in Italia la contrattazione collettiva interessa praticamente la quasi totalità dei lavoratori per cui il nostro Paese non è obbligato a introdurre il salario minimo in quanto i lavoratori coperti da contratto superano di gran lunga la soglia minima prevista dalle norme europee.