“Una guerra atomica alle nostre porte? Francamente la certezza che Putin non ricorra all’uso delle bombe atomiche non ce l’ha nessuno ma a mio parere l’eventualità è molto, molto remota. Un gesto del genere darebbe l’immagine di una leadership russa fuori controllo che porterebbe a una recrudescenza della russofobia dalle conseguenze incalcolabili e non facilmente sostenibile dalla classe dirigente”.
A infondere speranza sul rischio nucleare è Fabrizio Maronta – redattore, consigliere scientifico e responsabile relazioni internazionali di Limes, la rivista italiana di geopolitica in edicola con il numero dedicato a “La Russia cambia il mondo” -nell’intervista a CNA sulla guerra in Ucraina e sulle sue conseguenze, anche in Italia.
Domanda – A questo punto, e a opzione nucleare accantonata, quali potrebbero essere allo stato gli sviluppi del conflitto?
Maronta – L’Ucraina sta dando una prova di resistenza che la Russia non si attendeva e questo è in particolare il risultato dell’affiancamento militare occidentale e delle forniture di armamenti. Putin probabilmente si attendeva una rapida soluzione del conflitto ma così non è stato. Ora non può ritirarsi, perché questo metterebbe addirittura a rischio la stessa federazione, che è composta da circa novanta soggetti che potrebbero non accettare una guerra sentita soprattutto come guerra russa, né accontentarsi di poco. E questa situazione si aggrava ogni giorno che passa. Di fronte Putin ha l’Occidente, che è sempre più coinvolto e se non è impegnato in una guerra diretta sicuramente si è allontanato dallo stadio di guerra per procura. E a sua volta non può fermarsi all’improvviso e tornare sui propri passi. L’Occidente, però, neanche può dare a Putin l’impressione di non avere una via d’uscita, che potrebbe costringerlo a giocare un pericoloso tutto per tutto, provocando la distruzione dell’Ucraina, la fuga di milioni dei suoi abitanti, conseguenze sociali ed economiche disastrose, anche per noi, tali forse da mettere in discussione la nostra pace sociale.
Quale quindi lo scenario più plausibile al momento?
Questa guerra quanto più dura, tanti più danni fa, dal momento che è caratterizzata da livelli di distruzione alti e crescenti. Distruzione in Ucraina, ma con conseguenze pesanti in Russia e fuori, in Europa, in Italia. Più dura, quindi, e più la pace diventa difficile. Putin aspira a far rientrare l’Ucraina nei confini pre-sovietici, a ovest del fiume Dnepr. Ma l’Ucraina non può essere lasciata senza uno sbocco al mare, per la sua propensione alle esportazioni. Né una tale situazione sarebbe accettata di buon grado dalla Turchia che non sopporterebbe la trasformazione del Mar Nero in sostanza in un lago russo.
Nel frattempo, come diceva lei, le conseguenze della guerra coinvolgono sempre di più l’Italia.
In Italia abbiamo visto finora solo la punta dell’iceberg del flusso di profughi. Un grave problema umanitario, ma per ora gestibile, perché a essere fuggita dall’Ucraina è soprattutto la borghesia, che più facilmente si potrebbe integrare e che comunque in larga parte spera di tornare nel proprio Paese. Ammesso che non sia ridotto in macerie.
Ma esistono le conseguenze economiche.
Per l’Italia più gravi che per il resto d’Europa. A differenza di altri Paesi abbiamo una fragilità socio-economica da Covid che si è innescata sulla fragilità precedente, sul mancato ritorno alla situazione pre crisi finanziaria. Il rischio è che diminuisca l’impatto anticiclico del Pnrr e che una parte significativa delle sue risorse debba essere utilizzata per combattere un’altra crisi. Noi siamo estremamente dipendenti dal gas della Russia e siamo più esposti finanziariamente e produttivamente verso Mosca degli Stati pari taglia europei. Interi settori dipendono significativamente dai consumatori russi: turismo, agroalimentare, componentistica, macchine industriali. Ucraina e Russia inoltre sono nostre fornitrici di materie prime essenziali per comparti quali la meccanica e l’agroalimentare. C’è anche un altro aspetto da non sottovalutare. Questa guerra sta spingendo a investimenti enormi in armamenti. Ed è probabile che per godere di economie di scala si vada verso una collaborazione industriale tra i produttori occidentali molto più stretta di oggi. Non vorrei che gli attori in gioco possano essere Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti d’America, con l’Italia emarginata politicamente e anche dal punto di vista industriale.