“Quando entri in una bottega artigiana trovi non solo prodotti di qualità eccezionale ma anche un clima familiare, perché la nostra gente è così, offre umanità. È una sensazione che provo io stesso. E qualche giorno fa a Roma, degustando un ottimo gelato, comprato da un’artigiana che appunto oltre all’ottimo gelato offre umanità, ho avuto modo di vedere tanti turisti stranieri ammirare fontana di Trevi. E mi sono detto che un Paese come l’Italia che riesce a coniugare due elementi del genere, la qualità e la bellezza, ha potenzialità straordinarie. Lo ha dimostrato, lo hanno dimostrato prima di tutto gli artigiani, combattendo con successo una serie di crisi dal 2008 a oggi, ora alle prese con i costi delle materie prime e soprattutto dell’energia che però non possono sopportare a lungo senza interventi risolutori del Governo. Riflettere però sulle nostre peculiarità stimola una enorme fiducia nel nostro futuro, nel futuro del nostro Paese”. Così Dario Costantini, intervenendo al convegno di apertura della due giorni ‘Taormina Food Expo’, apertasi oggi nella splendida località isolana. In particolare, Costantini ha colto l’occasione anche per spiegare i motivi che hanno condotto a tenere l’assemblea in Sicilia, partendo alle meraviglie delle coltivazioni e dell’agroalimentare. “Abbiamo voluto colorare di blu, il blu CNA, la Sicilia perché pensiamo che il Sud debba diventare il secondo motore italiano e perché la CNA siciliana svolge un ruolo sempre più importante al Sud nella CNA”, ha osservato.
I lavori hanno messo in risalto i numeri dell’agroalimentare siciliano (13% delle imprese italiane, 5% della produzione nazionale, 8% degli addetti), caratterizzato oltre tutto da elevata concentrazione e forte specializzazione, inserendoli in una realtà nazionale che vede nel settore un fattore chiave dell’economia nazionale. Lo ha sottolineato Francesca Petrini, presidente nazionale CNA Agroalimentare. “Questo comparto vale 140 miliardi di euro, dietro solo a metalmeccanica e utensileria, con un valore aggiunto medio superiore a quello del manifatturiero. Ha un’alta incidenza di manodopera e pesa molto positivamente sulla nostra bilancia commerciale. Non solo. Ha dimostrato resistenza e adattabilità negli anni e in particolare in tempi di pandemia si è saputo rimodulare rispondendo con immediatezza ai bruschi cambiamenti nella produzione e nel commercio”. Quanto all’accusa lanciata all’agroalimentare di essere troppo frammentato, insomma di contare troppi artigiani, micro e piccole imprese, nelle sue fila Petrini ha replicato: “Siamo frammentati, è vero, eppure siamo riusciti a ottenere risultati eccellenti, abbiamo raggiunto numeri eclatanti, perché se è vero che l’agroalimentare conta tanto nell’economia e nella società questo non può prescindere dai piccoli che ne rappresentano oltre il 90% delle imprese”. Più che la frammentazione, ha rilevato, il problema è la mancata autosufficienza, l’assenza di filiere complete, come è emerso con prepotenza dallo scoppio della guerra in Ucraina.
Partendo dalle recenti, tristi vicende marchigiane, Petrini infine si è soffermata sulla posizione delle imprese agroalimentari rispetto alla sfida ambientale. “L’agricoltura in particolare è in prima fila – ha spiegato – da un lato in quanto impatta sul clima dall’altra in quanto è un’industria a cielo aperto. Deve pertanto impegnarsi insieme a tutto il settore agroalimentare in produzioni che mitighino l’impatto nell’ambito di uno sviluppo diverso dal modello conosciuto”.