Valutando nel suo complesso il decreto legislativo 24 dicembre 2015, n. 159 è possibile sostenere che il legislatore della riforma della riscossione non abbia attuato pienamente i principi della delega fiscale riguardanti la riscossione coattiva. O meglio, ne sono stati attuati alcuni in modo più completo di altri, restituendo una riforma che non sempre è a vantaggio dei contribuenti e delle loro difficoltà ad adempiere.

Occorre ricordare, infatti, che i principi sanciti dalla delega fiscale riferiti alla riforma della riscossone coattiva – disciplinati dall’articolo 10, c.1, lettera e) e dall’articolo 6, c. 5 della legge n. 23/2015 – erano improntati a contemperare le esigenze della riscossione con quelle dei contribuenti, in particolare, al fine di semplificare ed estendere la più flessibile rateizzazione prevista per i debiti iscritti a ruolo con le altre misure di rateizzazione, quali le “somme   richieste   in   conseguenza  di comunicazioni di irregolarità  inviate  ai  contribuenti  a  seguito della liquidazione delle dichiarazioni o dei controlli formali” (ossia alle somme dovute sulla base degli avvisi bonari).

L’intenzione del legislatore della riforma, invece, concentrandosi sul principio di delega indicato nell’articolo  10, c.1, lettera e) della legge delega, sembra sia stata quella di fare mente locale sulle cose attuate in materia di riscossione coattiva dal 2009 ad oggi provvedendo, se del caso, ad effettuare anche aggiustamenti che non vanno sempre a favore dei contribuenti.

Ci si riferisce, ad esempio, al pericolo scampato della reintroduzione dell’anatocismo sulle sanzioni amministrative e sugli interessi per la ritardata iscrizione a ruolo, eliminato dalla bozza di decreto legislativo anche grazie all’importante azione di protesta portata avanti dalla CNA. Addirittura si era pensato di far pagare nuovamente gli interessi di mora sulle sanzioni e sugli interessi per ritardata iscrizione a ruolo.

Nella stessa direzione si inserisce il parziale svuotamento della norma che consente ai contribuenti di rivolgersi direttamente ad Equitalia, anche per questioni o problemi riguardanti l’esistenza stessa del debito indicato nella cartella esattoriale (cfr articolo 1, commi 1  e 2).

Da questo punto di vista, infatti, è stato ridotto da 90 giorni a 60 giorni il termine entro cui il contribuente può dichiarare direttamente ad “Equitalia” l’infondatezza della pretesa da cui trae origine il debito tributario. Inoltre, nella lista della cause di infondatezza della pretesa che possono essere rivendicate ad Equitalia è stata eliminata la previsione di chiusura che faceva riferimento a “qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso”. Ancora, viene eliminato il termine di 60 giorni entro cui Equitalia era tenuta a comunicare l’esito della dichiarazione presentata ed aggiungendo, tra i canali di comunicazione dell’esito medesimo, un apposito canale telematico. Ancora è anche esclusa la possibilità di reiterare la dichiarazione e viene sottolineato che la presentazione della dichiarazione non sospende le iniziative finalizzate alla riscossione del credito. In fine viene specificato che l’annullamento non ha effetto se non per i motivi indicati dalla stessa norma o quando il debito è soggetto a sospensione giudiziale o sentenza di annullamento non definitiva.  La procedura che consente ad Equitalia di dialogare direttamente con il contribuente è essenziale per garantire un rapporto diretto e positivo tra contribuente e amministrazione finanziaria. Pertanto doveva essere ulteriormente potenziata e non depotenziata, come è stato fatto con la norma in esame.  Per i contribuenti è veramente difficile comprendere risposte tipo: “lei ha ragione, ma non posso farci niente e si deve rivolgere all’ente creditore, dall’ente (Equitralia) che sta esperendo una esecuzione forzata sui tuoi beni.

Altro punto della riforma difficile da comprendere riguarda le nuove disposizioni inerenti agli effetti derivanti dalla richiesta ed ottenimento di una rateizzazione (cfr. articolo 10, comma 1, n. 2). Secondo una prima interpretazione delle nuove disposizioni, sembra che la richiesta e l’ottenimento della rateizzazione del ruolo non possa più cancellare o sospendere il fermo amministrativo sui veicoli o l’ipoteca sugli immobili del debitore. La norma, nei fatti, determina un peggioramento della situazione attuale posta a tutela dei contribuenti. Nella situazione pre-riforma, infatti, era possibile chiedere una rateizzazione anche dopo l’avvio dell’azione esecutiva e l’ottenimento ed esecuzione dei versamenti rateali determina la cancellazione del fermo o dell’ìpoteca.  Con la nuova disposizione, al contrario, il  pagamento della prima rata del piano di rateizzazione accordato, sebbene garantisca il blocco delle azioni esecutive sul patrimonio del debitore, tuttavia lascia confermate le procedure cautelari rappresentate dal fermo amministrativo e dall’ipoteca. Impedire l’uso del veicolo ad un contribuente finché  paga regolarmente le rate, rappresenta una penalizzazione che potrebbe essere superata, includendo almeno il fermo amministrativo tra le procedure esecutive, quale mezzo coercitivo al pagamento.

Tuttavia, bisogna anche sottolineare che a fronte di questi aspetti della riforma che segnano un assestamento a sfavore dei contribuenti delle disposizioni sulla riscossione coattiva, la scelta di allentare ancora di più le briglie sulla rateizzazione dei debiti, tramite: l’aumento del  numero delle rate entro cui è possibile versare i debiti emergenti dagli avvisi bonari di importo inferiore a 5 mila euro (cfr articolo 2, comma 1); la possibilità di autocertificare la presenza della temporanea difficoltà di adempiere per cartelle esattoriali inferiori a 50 mila euro (articolo 10, comma 1, n. 1); le nuove disposizioni che escludono la perdita della rateizzazione per lievi ritardi di pagamenti di rate o versamenti insufficienti di modesta entità (cfr articolo 3); ecc. vanno sicuramente nella giusta direzione. Tuttavia, si fa sentire la mancata attuazione del principio della delega fiscale che sanciva la tendenziale uniformità dei criteri di rateizzazione.

Sarebbe stato importante arrivare ad una rateizzazione dei debiti emergenti dagli avvisi bonari (debiti fiscali dichiarati che non si riesce a versare) più flessibile, equiparata a quella prevista per i versamenti delle somme iscritte a ruolo che, in relazione ai diversi livelli di ammontare di debito può arrivare anche a 120 rate mensili. Nella situazione attuale le imprese che non riescono a versare ciò che hanno fedelmente dichiarato, sono costrette a pagare sanzioni più alte (30% invece del 10%) ed un aggio di riscossione del 3% o del 6%, solo per avere una rateizzazione che consenta di diluire il pagamento in un arco temporale più ampio o con una rata flessibile.

Positiva anche la riduzione dell’aggio di riscossione applicato sui debiti che emergono da violazioni tributarie, ora previsto nella misura dell’8%, ed al 4,65% in caso di versamento entro i 60 giorni dalla notifica della cartella, che verrà cosi rimodulato:

  1. pari al 3% nelle ipotesi di pagamento della cartella esattoriale entro 60 giorni dalla notifica;
  2. pari al 6% nelle ipotesi di mancato pagamento della cartella esattoriale nei termini previsti.

Spetta al contribuente anche una quota relativa all’attivazione delle misure esecutive e cautelari, nonché una quota delle spese di notifica della cartella e degli altri atti della riscossione.

Oltre a questo è anche indicato che i costi sostenuti da Equitalia per la riscossione saranno pubblicati ogni anno entro il 31 gennaio sul proprio sito web.

La riscossione coattiva rappresenta uno dei punti centrali della fiscalità di un paese, specialmente quando, come è nel caso dell’Italia, la pressione fiscale è molto elevata. Una “buona” riscossione coattiva deve riuscire a contemperare le esigenza di credibilità dell’aziona amministrativa e della conseguente capacità di riscuotere i tributi dovuti, ma anche evitare, per lo stesso fine, di azzerare le capacità di produrre reddito dei debitori. Senza reddito non c’è alcuna possibilità che il contribuente riesca a pagare quanto deve.

Nella Circolare 14 dicembre 2015, n. 18, si effettua una prima analisi delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 24 dicembre 2015, n. 159.