Scatterà tra poco più di un anno l’obbligo di progettare le grandi opere pubbliche con le procedure digitali del BIM. Dal 2019 le stazioni appaltanti dovranno prevedere l’utilizzo del BIM per tutti i lavori complessi di importo superiore a cento milioni. Mentre negli anni successivi, fino al 2025, l’obbligo verrà via via esteso alle costruzioni di importo minore. Dice questo la versione finale del decreto sulla digitalizzazione negli appalti pubblici che il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha appena firmato e che è stato pubblicato con decreto n. 560 del 12 gennaio 2017 (vedi allegato)
Il BIM è la nuova tecnologia che consente di progettare le opere in maniera tridimensionale, aumentando di molto rispetto al tradizionale progetto le informazioni disponibili, ad esempio sulle quantità di materiali e i relativi costi. Anticipando, così, già in sede di progetto gli effetti del cantiere. Si tratta di un grande strumento di trasparenza e contenimento delle spese, che rappresenta una delle maggiori innovazioni del nuovo Codice appalti.
Gli obblighi partiranno dai «lavori complessi», e cioè quelli «caratterizzati da elevato contenuto tecnologico o da una significativa interconnessione degli aspetti architettonici, strutturali e tecnologici». Per questo tipo di opere, quando si arriva alla soglia dei 100 milioni di euro, il BIM diventerà obbligatorio già a partire dal primo gennaio 2019.
Si passerà poi, dal primo gennaio 2020, alle opere di importo superiore ai 50 milioni. Dal 2021 l’obbligo riguarderà le opere oltre i 15 milioni. E così via, fino al 2025, quando saranno coinvolte dall’obbligo anche le opere sotto il milione. Scompare, invece, ogni riferimento alle norme Uni, oggetto di molte polemiche in fase di redazione del testo. Una parte importante del decreto riguarderà la formazione delle stazioni appaltanti: queste dovranno varare un piano di aggiornamento del personale e mettere a punto un programma di acquisto e manutenzione di strumenti hardware e software.