“Francamente, nell’allarme lanciato dall’Oms sui presunti pericoli derivanti dall’eccessivo consumo di carne rossa e lavorata, non ci vedo una grande novità. Da tempi non sospetti l’eccesso di consumo di questo tipo di carni è considerato un fattore di rischio. È chiaro, però, che queste notizie, sparate col megafono senza le dovute precisazioni, rischiano di avere ricadute negative per uno dei settori più importanti della nostra economia, soprattutto per ciò che riguarda il consumo di questi alimenti negli altri Paese, particolarmente sensibili a questi allarmi, anche quando poco… precisi”.
Non nasconde le sue preoccupazioni Luisa Falchi, vicee presidente di CNA Alimentare Modena, sulle ripercussioni dello studio curato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Non ci si può fermare ai titoli, ma occorre entrare nel merito della ricerca dell’Oms. Si scoprirebbe allora, che, a proposito delle carni rosse, l’Oms sostiene di avere solo prove limitate del fatto che queste possano causare il cancro e di non poter escludere che i casi di tumori riscontrati siano in realtà legati ad altri fattori. In questo caso l’analogia che in questi giorni è stata citata, cioè che la carne rossa sarebbe cancerogena come il tabacco, è errata, perché la prima è stata è stata classificata nel gruppo 2A, quello delle sostanze probabilmente cancerogene. Il fumo, invece, è classificato come cancerogeno, senza l’avverbio probabilmente”.
Da questo punto di vista, nemmeno la carne lavorata sarebbe pericolosa come il tabacco, perché, pur essendo stata inserita nel gruppo 1 alla pari di quest’ultimo, ciò non implica che le due sostanze siano dannose allo stesso modo. Del resto l’Oms non entra nel merito di quanto siano cancerogene due diverse sostanze.
“Oggi ci concentriamo su questa notizia, ma nel contempo dimentichiamo che, tra le raccomandazioni per la prevenzione dei tumori basate sulle analisi dell’Oms, non c’è solo un consumo limitato di carni rosse e lavorate, ma anche i rischi legati all’assunzione di bevande zuccherate, per dire”.
“Credo più sia più pericoloso – continua la Falchi – un accordo come il Ttip, che probabilmente causerà alla salute degli italiani molti più danni di qualche fettina di prosciutto, se pensiamo che esso prevede, ad esempio, la possibilità di lavare i prodotti alimentari con il cloro. In definitiva la cura migliore credo arrivi dal buon senso: nella tanto – e giustamente – decantata dieta mediterranea c’è sempre stato uno spazio per questo tipo di carni, senza rischi per la salute. Carni che fanno parte della nostra cultura, delle nostre tradizioni. Cambiare le nostre abitudini, anche da questo punto di vista, penso possa rivelarsi un rimedio peggiore del male”.
“In ogni caso – chiosa Falchi – le imprese modenesi si sono sempre distinte per professionalità e salubrità delle materie prime impiegate. Sono i valori che da sempre caratterizzano le produzioni agroalimentari nostrane e che oggi più che mai ne rappresentano il principale punto di forza.