Giovedì 10 novembre, alle ore 20.30, presso la sede di viale Randi 90 a Ravenna, la CNA presenterà l’indagine annuale sul “total tax rate” delle PMI.

Aprirà i lavori il presidente provinciale Pierpaolo Burioli. La presentazione dell’indagine sarà a cura di Claudio Carpentieri, responsabile delle Politiche fiscali di CNA nazionale. Alle ore 21 seguirà una tavola rotonda moderata dal giornalista Lorenzo Tazzari a cui parteciperanno Michele De Pascale, sindaco di Ravenna; Giovanni Malpezzi, sindaco di Faenza; Davide Ranalli, sindaco di Lugo; Luca Coffari, sindaco di Cervia e Massimo Mazzavillani, direttore della CNA.

La ricerca – prodotta dalla CNA nazionale, su richiesta della CNA di Ravenna – determina il peso esercitato dal fisco (total tax rate) sul reddito delle piccole imprese attraverso la misurazione del livello di prelievo presente nei quattro principali comuni del nostro territorio (Ravenna, Faenza, Lugo e Cervia).

La media del total tax rate dei quattro Comuni ravennati è pari al 59,5%, circa un punto in meno rispetto allo scorso anno.

Tale media è il frutto di un total tax rate che a Cervia si colloca al 62,9%, a Ravenna  al 59,6, a Lugo al 59,3% e a Faenza al 56,1%. Quindi, la posizione dei quattro comuni ravennati, globalmente intesi, si collocherebbe attorno al 78° posto rispetto alla classifica nazionale (scalando ben 10 posizioni rispetto alla 68° posizione dello scorso anno). La media nazionale del total tax rate nel 2016 è pari al 61%.

L’evidente miglioramento delle performance dei Comuni locali rispetto al quadro nazionale non deve però farci dormire sonni tranquilli.

L’eccessiva pressione fiscale e i conseguenti sacrifici richiesti alle imprese sono da lungo tempo uno dei temi più caldi e dibattuti in tutte le platee dove verte il confronto politico. In questo dibattito viene spesso richiamato il dato della pressione fiscale elaborato dell’Istat.

La pressione fiscale nel nostro Paese, oltre a essere molto alta, appare in costante crescita dal 2005 fino al 2014. Solamente nel 2015 c’è stata una timida riduzione di 0,1 punti di PIL.

Questa seppur minima riduzione si colloca in un sistema, quello del fisco italiano, che resta profondamente iniquo nella tassazione dei redditi e che sicuramente non scoraggia efficacemente la concorrenza sleale attuata dagli evasori totali e non premia, come sarebbe giusto che fosse, la fedeltà fiscale degli imprenditori corretti.

Un sistema fiscale di per sé già complicato che è diventato, negli ultimi anni, quasi ingestibile e, comunque, molto costoso per le imprese, esponendo le stesse a possibili errori e alla conseguente applicazione di sanzioni amministrative.

Ben venga, quindi, la riforma degli studi di settore che diventano rinnovati strumenti di “compliance” e non più di mero accertamento. Strumenti volti a selezionare le imprese in regola, così da evitare loro verifiche e ispezioni non opportune, e  soprattutto punto di riferimento per assegnare premi fiscali a coloro che si posizionano sopra la completa regolarità fiscale.

Da questa diagnosi, emerge un sistema fiscale malato che richiede cure appropriate. La nostra ricetta cerca di intervenire su tre punti specifici:

  1. ridurre la pressione fiscale garantendo, al contempo, maggiore equità nel prelievo tra diversi redditi da lavoro;
  2. invertire sensibilmente la tendenza di questi anni di trasferire sulle imprese gli oneri dei controlli;
  3. usare intelligentemente la leva fiscale per aumentare la domanda interna.

 

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