Saranno feste appannate, anche per quanto riguarda il mangiare&bere. Ma sulla tavola degli italiani trionferanno i cibi e le bevande tradizionali, una sorta di “comfort food” chiamato a fugare crisi e paure. A rilevarlo una indagine condotta in collaborazione da CNA Agroalimentare e CNA Turismo e Commercio alla vigilia del “Natale (e Capodanno) in confinamento”.
Dovrebbe superare i 3,5 miliardi l’importo complessivo della spesa alimentare nazionale per i cinque tradizionali appuntamenti a tavola del periodo a cavallo tra fine 2020 e inizio 2021: Vigilia di Natale, Natale, Santo Stefano, San Silvestro, Capodanno. Un periodo che l’anno scorso ha fatturato gastronomicamente oltre 4,5 miliardi. Il calo previsto, quindi, sarebbe di poco inferiore a un quarto del totale raggiunto nel 2019/2020. Tra limiti agli spostamenti, coprifuoco, generale clima di preoccupazione e sfiducia, la tendenza era già da tempo al peggioramento ma il colpo di grazia l’ha inferto l’ultimo Dpcm, con i suoi irrigidimenti. Un provvedimento, quest’ultimo, che potrebbe addirittura far pendere la bilancia della spesa ancor di più sul lato dei tagli.
Costo a parte, che cosa mangeranno gli italiani nelle festività? Di sicuro quest’anno si archivieranno definitivamente gli esotismi pre-crisi finanziaria, dal 2011 in poi, già ridottisi via via negli anni. Non solo nella giornata del 24 dicembre, tradizionale per antonomasia. I piatti della tradizione e della memoria, il valore consolatorio della cucina di nonna, sono chiamati a cercare di creare un’atmosfera festiva che tutto sembra congiurare, se non ad annullare, a ridurre. Le ricette familiari servono a rimarcare un senso di identità e di appartenenza, anche a creare un clima di affetto, in nuclei ridotti all’osso e nelle tante persone che rimarranno sole.
Il menu di pesce è scelto da due famiglie su tre alla Vigilia di Natale con preferenze spiccate per le ricette povere, le specialità ittiche meno costose (ma non per questo meno buone) come il pesce azzurro o le cozze e i “lupini” a discapito dei molluschi e soprattutto dei crostacei. Prevale il menu di magro, benché meno decisamente, anche a San Silvestro.
Nelle tre altre festività (Natale, Santo Stefano e Capodanno) l’ago si sposta verso i prodotti a base di carne. Anche in questi giorni il ritorno alla tradizione evita i lussi ritenuti inutili. Piuttosto la propensione è a preferire le materie prime e le specialità locali, dalle Doc alle Igp e alle DeCo, anche se un po’ più costose dei cibi d’importazione. La qualità la fa da padrona e la sostanza mette Ko l’apparenza. Compreso per il prodotto più beneaugurante di tutti, la lenticchia: dalle riconosciute e protette Lenticchie di Castelluccio e di Altamura ai legumi tradizionali di altre aree della Penisola.
Calano anche le vendite di alcuni dei cibi più tipici del periodo: contenuta la diminuzione di panettoni e pandori (con pasticcerie e laboratori artigiani a tenere meglio le posizioni), in linea zamponi e cotechini, in più decisa discesa le vendite di “bollicine”. Per gli spumanti la previsione è di un -20 per cento rispetto all’anno scorso, mentre per gli champagne la riduzione viaggia a percentuale ben più elevata.
Nessuno può dimenticare però che quest’anno, ancor di più degli anni scorsi, c’è chi non festeggia. Può essere una libera scelta, ma perlopiù si tratta di una scelta obbligata. In questo drammatico 2020, nella speranza che il 2021 ce ne liberi non solo da calendario, si moltiplicano le iniziative benefiche. Siamo più solidali. Una buona notizia, tra tante negative.