Site icon CNA

Dalla Ferrari alla Gioconda, il “sesto senso” dei Fondriest

Nella sala più visitata del Louvre c’è un piccolo grande prodotto del genio italiano. E non si tratta della Gioconda, ma di quattro piccoli sensori high-tech che monitorano le sollecitazioni cui è sottoposta la Gioconda. Come lei hanno un padre italiano. Per la precisione romagnolo: escono, infatti, dal laboratorio di Ivan Fondriest e dall’intuizione di suo padre Gianni.

“La Deltatech è nata nel 1992 – racconta Ivan – per merito di mio padre, che purtroppo ci ha lasciati nel dicembre scorso. Per anni aveva diretto la sua azienda di rappresentanza di apparecchiature elettroniche ed a un certo punto pensò: ma perché invece di vendere materiale standard, non lo produciamo su misura del cliente? Fu l’intuizione vincente ed  io, che amavo i cavalli e sognavo di lavorare con loro, mi buttai in questa impresa, fatta di sfide e soddisfazioni continue”.

La vera svolta arriva nel ’96, quando la Deltatech inizia a produrre celle di carico (sensori che misurano la deformazione meccanica di un oggetto trasformandolo in segnale elettrico) per la Ferrari Formula Uno. “Fu grazie a un concorrente, ci segnalò e iniziammo questa collaborazione per noi importantissima, perché ci mise in contatto con una grande realtà, soprattutto da un punto di vista tecnico, permettendoci di crescere e specializzarci nel settore dell’automotive e sportivo. Oggi lavoriamo anche per la Ducati moto Gp, l’Aprilia e altre grandi case – continua Fondriest – ma le nostre celle di carico sono utilizzate anche nelle gallerie del vento e in fase di progettazione nel settore ferroviario, anche per l’alta velocità. Siamo un piccolo laboratorio con sette dipendenti, investiamo continuamente in innovazione e questo ci permette di realizzare progetti anche per grandi realtà come le Ferrovie. Ora siamo entrati a far parte di una rete di imprese per avvicinarci anche al settore aereonautico, dominato da grandi gruppi”. Ma la fama, ammette Ivan, è arrivata con la Gioconda.

“Da anni collaboriamo con il Laboratorio di Tecnologia del Legno (oggi Gesaaf) dell’Università di Firenze. Il primo lavoro è stato per un violino di Paganini. Durante l’accordatura si genera una compressione del ponticello sulla cassa del violino. Per monitorarla ed esser certi che lo strumento non si rovinasse, abbiamo realizzato una cella di carico a forma di ponticello sostituendo l’originale. E’ stato lo stesso Laboratorio a rivolgersi a noi anche per la Gioconda”.

I tecnologi del legno fiorentini dal 2004 partecipano a un gruppo internazionale di ricerca che studia e verifica lo stato del supporto ligneo della Gioconda di Leonardo da Vinci. La Gioconda, infatti, è dipinta su un’unica tavola di pioppo. La tavola è contenuta in un telaio che a sua volta è inserito nella grande cornice visibile al pubblico, mantenuta leggermente forzata contro il telaio da quattro traverse di legno posteriori. Ed è proprio sulle traverse che sono state montate quattro mini-celle di carico che misurano in tempo reale le forze esercitate sulla tavola.

“Il Louvre si è rivolto a un’università e un’impresa italiana per proteggere la sua opera più famosa, che poi è italiana – sorride Ivan –. La cosa più importante è che da questa esperienza è nata una collaborazione con il CNR e l’Università di Firenze per avviare un progetto di sistemi di monitoraggio di grandi opere, anche in fase di spostamento”.

“La prossima opera su cui verranno montati i nostri sensori è una nave vichinga del museo di Oslo – conclude Ivan -. Ci ha lavorato mio padre Gianni, sempre in collaborazione con l’università di Firenze, si è dedicato a quest’ultimo progetto fino alla fine con la sua solita passione”.

 

Il nostro pensiero per Gianni, che non siamo riusciti a intervistare

Exit mobile version