Il fabbro del Dolcesteelnovo
Si può parlare di eleganza e armonia per una materia dura e fredda come il ferro? Di una forza che esce con grazia dal ferro lavorato? Sì, se a ‘metterci le mani’ è Daniele Boesso.
Quando si apre il portone sull’atelier-officina di questo discepolo di Vulcano, appare una fucina ordinata e deliziosamente organizzata, con la meticolosità e la cura di una sala operatoria, dove tutto ha una propria ragion d’essere. Si respirano profumi di resine misti al sanguigno odore della limatura del ferro. Si vedono colori diversi, di metalli e materie diverse.
A quattordici anni Boesso entra come autodidatta apprendista in un’azienda meccanica. Impara sul campo a fare il fabbro. La sua formazione è affidata esclusivamente a una curiosità insaziabile.
Nel 1983 apre la sua prima officina in una vecchia stalla. Dal 1990 è operativo nel suo attuale laboratorio. Quella di Boesso non è un’officina tradizionale: c’è tutto ciò che serve a un fabbro per operare, ma c’è di più. Un rivisitato “Dolcesteelnovo” trova una dimensione ideale in armadi, cassettoni, sgabelli, lampade e componenti d’arredo. Si tratta della nuova linea di design di Boesso, nata con questo nome tre anni fa e che oggi occupa le vetrine di alcuni centralissimi negozi di architettura-arredamento di Padova.
“Non sarei quello che sono senza la mia immaginazione. Dialogo con lei, la interpreto con fantasia e con una buona base di studi sui materiali che assemblo”. Dialoghi che si trasformano in legami e si trasferiscono sulla materia. Così il ferro è unito a un prezioso legno di olivo per dar vita a uno sgabello fatto con un vecchio cric di camion. Gli smalti colorano i pomelli delle ante o dei cassetti di una credenza. Saldature perfette, invisibili, cerniere create ad hoc per ogni modello, scelta di viti d’epoca che si inseriscono in armonia con la solidità leggera dell’armadio. Un dialogo intimo tra mani che fanno in simultanea ciò che la mente comanda.
“E’ per questo che l’artigiano neutralizza la fatica: la materia vive nel significato che io stesso so darle e che lei mi restituisce nel momento in cui prende forma. E’ qualcosa di primordiale, di genetico, perché si ha la sensazione, non di avere vinto sulla materia, ma di avere preso energia da essa”.
“Dolcesteelnovo fonde la crudezza di un secolo buio come il medioevo, con la rapida praticità del nostro evo moderno. Ricordo che il ferro è il quarto elemento presente in natura, è il pigmento che dà il colore al sangue umano. Come pensare che sia solo freddo?”.
Un grande giardino anticipa il capannone-officina dell’imprenditore: fluttuano qua e là, belle e leggere sculture. L’autore ne parla en passant come di un’esperienza già vissuta. “Sì, sono stato anche scultore, ma oggi si deve fare l’imprenditore più che l’artista”.
Un cancello, però, aperto sul cielo, ci fa passare oltre. E’ ‘Il portale del tempo’, opera in ferro sbalzato, avvolto in forme che sembrano impossibili da realizzare e che ha vinto un bel po’ di premi: armonica interpretazione della variazione del ritmo. Si parla di ferro, eppur diventa una poesia.