Lewis Cavarzan, 46 anni, titolare di Calzaturificio 4C fondata nel 1979 dal padre a Biadene di Montebelluna, è il nuovo portavoce di CNA Calzature, pelletteria, pellicceria. Il congresso si è tenuto la scorsa settimana.

Ditta con dieci dipendenti, Calzaturificio 4C, inserita in una filiera produttiva che ha internazionalizzato da tempo, lavora per conto di aziende della scarpa made in Italy e produce  anche una propria linea di calzature con il marchio JM.

Il lavoro per conto terzi ha una serie oggettiva di svantaggi. I piccoli produttori artigiani – e lo hanno provato sulla loro pelle in questi anni di “vacche magre” – sono l’anello della filiera che salta per primo, quando l’economia si ferma e i mercati finiscono di essere ricettivi. Sono loro a pagare il prezzo più salato. Ma ora il peggio sembra ormai alle spalle.

«La crisi del calzaturiero pare finita l’anno scorso e in questo periodo c’è molto lavoro – racconta Cavarzan -. Stiamo assistendo al rientro in Italia delle lavorazioni da parte, in particolare, delle medie aziende del settore che, sotto la pressione dei mercati esteri, vogliono prodotti di qualità e la trovano nelle nostre ditte artigiane che hanno decenni di esperienza».

Gli anni di crisi sono stati durissimi e ora il peggio sembra passato. Il rientro delle commesse, questa inaspettata fase di in-localizzazione, fa ben sperare, anche se tra gli operatori del settore, stremati dalla recente recessione, rimane il timore che sia «un fuoco di paglia».

«I grandi marchi della calzatura per cui l’artigianato locale lavora hanno in genere sviluppato due linee, quella di fascia alta e quella di fascia bassa – spiega Cavarzan -. Le linee di fascia bassa continuano a farle negli stabilimenti all’estero, le linee di fascia alta le stanno riportando in Italia perché il know how che abbiamo qui non ce l’ha ancora nessuno nel mondo. Il punto di forza di noi artigiani è che non siamo meri esecutori: in fase di realizzazione del prodotto sappiamo apportare quelle migliorie che spesso fanno la differenza».

La ricetta vincente sembra ruotare anche attorno alla formazione e alla motivazione del personale.

«I prodotti che escono dalle nostre aziende per conto dei nostri committenti li facciamo come se fossero i nostri: c’è cura e passione nel nostro lavoro – aggiunge il portavoce di CNA Calzature -. E questa passione la acquisiscono anche i nostri operai: anche loro sanno che il nostro futuro dipende dalla qualità, dalla ricerca costante di perfezione, dall’innovazione, quindi dal loro impegno e dalla loro dedizione».

Alla Stato, questi artigiani appassionati, chiedono principalmente una cosa: la tutela, vera, del made in Italy. «Non è raro che vengano prodotte calzature o altri accessori completamente all’estero ma venduti poi come made in Italy – precisa Cavarzan -. Allo Stato italiano chiediamo forme più efficaci di tutela delle nostre produzioni e del marchio-Paese». 

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