Gli struffoli napoletani e il certosino bolognese. Il marchigiano bostrengo (o fristingo, frustingo, frostengo, pistingo…) e i fichi chini calabresi. La cubaita siciliana e la gubana friulana. E tanti altri dolci natalizi, uno o più per regione, se non per provincia, magari dal nome diverso ma dalla ricetta quasi uguale, con piccole modifiche dettate da appena accennati confini: un ruscello, una stradina inter-poderale, un ponte. In comune, però, hanno perlopiù frutta secca e miele, spezie e canditi, un trionfo di aromi profumati e di colori caldi.
Tra panettone e pandoro cresce ogni anno che passa la quota di dolci tipici consumati a Natale. Ormai quasi un italiano su cinque (per la precisione, poco più del 19 per cento) ha deciso di ri-approdare alla tradizione pre-televisiva, quella precedente l’obbligato binomio panettone&pandoro, spesso declinata in versione casalinga, ma sempre più appannaggio di pasticcerie e forni artigiani. A rilevare questa tendenza una indagine condotta da CNA Agroalimentare tra i suoi associati, dalla quale emerge che soprattutto in questi anni di pandemia si sono fatti strada i piatti della tradizione e della memoria, che contribuiscono a “fare l’atmosfera”, a dare un senso di famiglia e a diffondere un clima di affetto, di appartenenza, di identità.
Ma quali sono, regione per regione, i dolci tradizionali che vanno per la maggiore nel periodo festivo tra Natale 2021 e Capodanno 2022? Se escludiamo le versioni artigianali di panettoni e pandori, diffuse particolarmente in Lombardia e Veneto ma non solo, partendo dall’estremo nord si passa dal valdostano Lou mecoluen (un pane dolce originario di Cogne) ai piemontesi bonet (in italiano cappello, perché lo stampo originario ricordava il tricorno) e tronchetto di Natale, di origine precristiana, anche se la versione di oggi al cioccolato non ha nulla a che fare con la ricetta dell’antenato. Dal ligure pandolce, una focaccia lievitata ricca di uva passa e ogni genere di canditi, alla valtellinese bisciola, a base di farina di segale. Dall’altoatesino Zelten, un pane fruttato il cui nome deriva dal tedesco zelte (che significa una volta, appunto perché non è alimento di tutti i giorni), alle friulane gubana e potiza. Tra i dolci dell’Emilia-Romagna emergono il certosino detto anche pan speziale (la cui ricetta è certificata e depositata alla Camera di commercio felsinea) e il panone di Natale, nella sostanza simile al certosino ma più calorico e diffuso soprattutto nelle campagne. Le principali specialità toscane quali il panforte, raccomandato già dal padre dei gastronomi italiani Pellegrino Artusi, e i ricciarelli sono da tempo apprezzati anche fuori della regione. Nelle Marche sono diffusi bostrengo e cavallucci di Apiro, al mosto d’uva. In Umbria è tempo di panpepato e di torciglione, a base di mandorle; in Abruzzo di parrozzo, versione dolce del pane rozzo al mais, battezzato parrozzo da Gabriele D’Annunzio nel 1920; in Molise dei mostacciuoli, derivati dal mustaceus, l’antica focaccia di nozze romana. La Sardegna è terra di papassini, grossi biscotti il cui nome deriva da papassa o pabassa (l’uva sultanina di cui sono ricchi), e di sebadas, ravioli ripieni di formaggio pecorino ricoperti di miele di corbezzolo. Del Lazio è tradizionale dolce natalizio il pangiallo, così chiamato per la glassa che lo ricopre, dal ripieno di ricotta e zafferano. Particolarmente ricca è la plurisecolare offerta campana: gli struffoli, i rococò, i susamielli, le zeppole, i calzoncelli ripieni, comuni anche alla Lucania. Famosi sono i pugliesi pasticciotto e carteddate pugliesi, dalla salsa al vincotto, diffuse queste ultime anche in Lucania e Calabria. Così come calabresi sono specialità quali i fichi chini, fichi secchi ripieni e sovrapposti a due a due per formare una Croce, e i petrali. Per finire trionfalmente in Sicilia tra i ricchissimi buccellati, cannoli e cubaita, in sostanza un croccante a base di frutta secca e miele.