Tra gennaio e dicembre dello scorso anno, di fronte a 2.721 nuove imprese “rosa”, hanno gettato la spugna in 2.836 per un saldo negativo di 115 aziende. Attualmente le imprese femminili marchigiane sono 39.769 pari al 22,9 per cento di tutte le imprese marchigiane.
Marche, per le donne fare impresa è sempre più faticoso. La crisi anche nel 2015 non ha risparmiato le imprese artigiane e le piccole e medie imprese al femminile. Tra gennaio e dicembre dello scorso anno, di fronte a 2.721 nuove imprese “rosa”, hanno gettato la spugna in 2.836 per un saldo negativo di 115 aziende. Attualmente le imprese femminili marchigiane sono 39.769 pari al 22,9 per cento di tutte le imprese marchigiane. Secondo un’indagine realizzata da Cna e Confartigianato Marche in occasione dell’8 marzo, la provincia che ha perso il maggior numero di imprese femminili è stata Macerata (-79) seguita da Pesaro Urbino (-27). Più contenuto il saldo negativo di Ascoli Piceno (-6) e di Fermo (-5), mentre ad Ancona il saldo tra le impresse che hanno avviato un’attività e quelle che hanno chiuso, è positivo (+2).
“Purtroppo questi dati” commentano la presidente di Cna Impresa Donna Emilia Esposito e la responsabile di Impresa Donna Confartigianato Barbara Tacconelli “confermano gli ostacoli che incontrano le donne che vogliono fare impresa, penalizzate da una maggiore difficoltà nell’accesso al credito e dalla difficile conciliazione dei tempi di lavoro con quelli familiari. A rallentarne al crescita ostacoli economici, vincoli sociali e stereotipi culturali che rallentano la crescita delle attività”.
Analizzando l’andamento dei diversi settori produttivi, si può vedere come il prezzo più alto della crisi sia stato pagato dalle imprese femminili del commercio (-362), da quelle agricole (-178) e dai servizi di alloggio e ristorazione mentre anche il manifatturiero perde 105 aziende.
Quello del commercio resta comunque il settore dove si concentra il maggior numero di imprese guidate da donne (9.662) seguito dall’agricoltura (8.409), dal manifatturiero (4.843), dai servizi alla persona (3.906) e dai servizi di alloggio e ristorazione (3.515).
Se il 90 per cento delle imprese femminili ha meno di 10 dipendenti e il 65 per cento sono ditte individuali, anche in quest’ambito qualcosa si sta muovendo. Crescono le società di capitali, oggi il 20 per cento del totale , “segno” spiegano Esposito e Tacconelli “che si tratta di imprese vere e proprie più che soluzioni di auto impiego, con forme di gestione più strutturate, guidate da imprenditrici in media più giovani e più istruite dei colleghi maschi, capaci di farsi strada anche in settori tecnologici fino ad oggi prevalentemente maschili come l’Itc e la produzione di software, senza abbandonare le classiche attività legate al saper fare femminile, dalla sartoria all’oggettistica e all’artigianato made in Italy.