Recentemente, in sede di presentazione del saldo 2015 delle imprese dell’area Colline forlivesi, è emerso un quadro preoccupante in quanto, a fronte di alcuni territori con dati positivi ed altri negativi, nel complesso l’anno si è chiuso con una perdita di imprese pari all’1,7%.
Questo risultato è generato da molte componenti: certamente dalla situazione generale del mercato e da variabili non controllabili localmente ma anche da qualche carenza presente sul territorio. Se è vero che lo sviluppo locale dipende dal sistema imprenditoriale e da quello amministrativo, bisogna chiedersi quali siano gli spazi di intervento per ciascuno e quanto occorra accelerare per creare le condizioni di “inversione di tendenza”.
Le imprese possono metterci innovazione e organizzazione, investimenti (nonostante le grandi difficoltà del mercato creditizio) e una buona dose di “capacità di resistenza” ma, in un contesto nel quale si confrontano i sistemi territoriali, come possono intervenire le pubbliche amministrazioni in termini di programmazione del territorio, al di là dei singoli campanili?
Quando parliamo di strumenti di governance, pensiamo alle Unioni di Comuni, che si occupano appunto di programmazione di aree vaste e rappresentano lo strumento prioritario di intervento. Sotto il profilo della tempestività, però, scontano ritardi significativi. Spesso dovuti al fatto che è ancora scarsa la definizione dei compiti che ad esse dovrebbero essere delegati. I tempi di risposta non sono compatibili con quelli richiesti dal mercato e dalla competizione, pur restando le Unioni strumenti concreti a medio/lungo termine.
Probabilmente uno strumento più immediato è rappresentato dalle fusioni tra comuni, la cui costituzione è caldeggiata, anche sotto forma di incentivi, da venti anni. Il principio di fondo e gli obiettivi realizzabili sono semplici. L’accorpamento di più amministrazioni in un unico nuovo comune risponde a criteri di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, incremento nella qualità dei servizi, regolamentazioni omogenee e un’unica pianificazione.
Inoltre, al risparmio conseguibile sulla spesa si aggiungerebbero contributi significativi sia dalla Regione che dallo Stato, liberando risorse finanziarie da impiegare sul versante dello sviluppo locale.
Abbiamo esempi recenti, pur se pochi, anche nella nostra regione: 4 nuovi comuni, dal 1° gennaio, ne hanno soppressi 10!
Detta così, la strada delle fusioni tra comuni ci sembra un’opzione interessante, quanto meno un percorso per il quale vale la pena aprire un confronto approfondito.
Molte volte abbiamo sentito alcuni amministratori affermare di essere favorevoli ma ancora nulla si è concretamente mosso; è naufragato il progetto Forlimpopoli-Bertinoro, pare nulla sia praticabile nell’Alto Bidente e niente sappiamo circa le Valli del Montone e Tramazzo.
Come Presidenza di CNA Colline forlivesi vorremmo si tenesse nella giusta considerazione il fatto che discutere di fusioni tra comuni non significa semplicemente ragionare di architettura istituzionale ma porsi la domanda su quale possa essere la migliore configurazione amministrativa locale per affrontare i temi del governo territoriale e del proprio sviluppo.
Ci piacerebbe una ripresa seria del confronto perché ciascuno, favorevole o contrario, deve sentirsi in dovere di far conoscere la propria posizione. Cittadini e imprenditori devono sapere perché c’è questo stallo, perché non vengono chiaramente esposte le posizioni e le ragioni concrete?