Essere felici tutti assieme, anche quanti non distinguono un pallone da un melone, è stato bello. Bellissimo. Dopo quello che abbiamo passato, finalmente un minimo di rinfranco. Di tanto dobbiamo dire grazie a Roberto Mancini, al suo staff, all’intera squadra della Nazionale per averci ridonato il sorriso collettivo. E fa niente se ci ha “regalato” anche una notte insonne.
Ora nessuno vuole caricare di significati all’estremo una partita di calcio, sia pure importantissima per gli appassionati. Né traslare questo successo di squadra nella vita politica, economica, sociale dove altre squadre a ogni livello sono chiamate a scendere nei rispettivi campi. Ma prendere esempio da una formazione che tre anni fa nemmeno si era qualificata alla fase finale dei Mondiali e va a vincere gli Europei qualche metafora la permetterebbe. Così come la certosina diligenza artigiana con la quale ha creato questo “capolavoro” il timoniere Roberto Mancini, detto Mancio. Non a caso un amico degli artigiani, come si vede nella foto, ripresa durante una partita (ovviamente di calcio) disputatasi qualche anno fa nel campo sportivo di Jesi. La cittadina marchigiana famosa per aver dato i natali a Federico II di Svevia, a Giambattista Pergolesi, a Valeria Moriconi, a Ezio Triccoli, fondatore della Sala d’Armi da cui provengono schermidori quali Stefano Cerioni, Giovanna Trillini, Valentina Vezzali. E a Roberto Mancini appunto. Un uomo che non trascura le sue radici profonde, E non le fa gelare.
Grazie, Italia. Grazie, Mancio.