Con la recente sentenza allegata il supremo organo della giustizia amministrativa è intervenuto fornendo indirizzi in merito a due delicati temi in oggetto.
Relativamente agli effetti dell’interdittiva antimafia in caso di impugnativa della gara di appalto la Corte afferma che:
«A fronte di un provvedimento interdittivo valido ed efficace intervenuto nel corso di un giudizio … L’interdittiva antimafia implica un accertamento dell’incapacità originaria del privato a essere parte contrattuale della pubblica amministrazione, con l’automatica conseguenza che, ai sensi degli artt. 67 e 94 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), le varie amministrazioni pubbliche non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni. »
A prescindere però dall’interdittiva di cui sopra, la corte esamina altri due aspetti di interesse.
Innanzitutto rileva come «è un preciso onere, in capo al ricorrente, di formulare nei termini di legge tutte le proprie contestazioni in relazione ai singoli profili astrattamente evincibili: in difetto, tale possibilità sarà successivamente preclusa, “pena l’assoluto svilimento dei limiti temporali imposti dal legislatore per la sindacabilità dei provvedimenti amministrativi”.» cioé i motivi d’impugnativa non esposti sin dall’inizio non possono essere proposti successivamente.
Infine ribadisce innanzitutto «il consolidato indirizzo giurisprudenziale (su cui A.P. 29 novembre 2012, n. 36), a mente del quale ““la verifica della congruità di un’offerta ha natura globale e sintetica, vertendo sull’attendibilità della medesima nel suo insieme, e quindi sulla sua idoneità a fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione dell’appalto, onde il relativo giudizio non ha per oggetto la ricerca di singole inesattezze dell’offerta economica”.
L’attendibilità dell’offerta va valutata pertanto nel suo complesso e non con riferimento a singole voci di prezzo eventualmente ritenute incongrue, avulse dall’incidenza che potrebbero avere sull’offerta economica nel suo insieme (conformi, ex plurimis, Cons. Stato, V, 17 gennaio 2014, n. 162; V, 14 giugno 2013, n. 3314; IV, 22 marzo 2013, n. 1633).»
E «il sindacato del giudice amministrativo può riferirsi alle valutazioni svolte dalla stazione appaltante in sede di verifica dell’anomalia, solamente nei limiti della loro intrinseca logicità e ragionevolezza, oltre che della congruità della relativa istruttoria, ma non può in alcun modo tradursi in una nuova verifica di merito, trattandosi di questione riservata all’esclusiva discrezionalità (tecnica) dell’amministrazione.
Né il giudice potrebbe operare autonomamente una verifica delle singole voci dell’offerta, “sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio – non erroneo né illogico – formulato dall’organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell’interesse pubblico nell’apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A. (C.d.S., IV, 27 giugno 2011, n. 3862; V, 28 ottobre 2010, n. 7631)” (così Cons. Stato, V, n. 162 del 2014 cit.).
Non può quindi trovare accoglimento la doglianza secondo cui l’offerta dell’aggiudicataria dovrebbe ritenersi inattendibile, prevedendo in concreto un utile “pari a zero, anzi al di sotto di 0,01 per ogni singolo pasto prodotto”, atteso che il relativo giudizio della stazione appaltante – doverosamente riferito all’offerta nel suo complesso – appare coerente con le premesse istruttorie, a loro volta adeguatamente dettagliate.
In merito alla questione dell’utile d’impresa, la commissione di gara, dopo aver prudenzialmente stimato in rialzo alcune voci delle “spese generali”, ha peraltro dato atto che, “anche considerando tali spese resta comunque un utile per l’impresa, a pasto, pari ad € 0,02, per un incidenza percentuale del 0,44” (così nel verbale n. 12 del 14 marzo 2016).»