Ogni dieci imbarcazioni da diporto che solcano mari, fiumi e laghi nel mondo una è realizzata in Italia. Seconda produttrice dietro gli inavvicinabili Usa (43% del mercato internazionale) e davanti a Regno Unito e Olanda, Germania e Francia, tutti ben distanziati. Per ora l’arrembaggio dei produttori asiatici sembra sotto controllo, benché il “resto del mondo”, Cina compresa, rappresenti ormai oltre un quinto della produzione nautica globale e sia in costante crescita, secondo i dati di Deloitte, i più completi nel settore, aggiornati al 2014.
In Italia, nonostante l’apprezzabile podio tra i mercati mondiali, la crisi ha morso dolorosamente anche questo comparto, dinamico e innovativo nell’intera filiera. Nel 2008 il fatturato complessivo della nautica italiana raggiungeva i sei miliardi, nel 2014 era calato a 1,7 miliardi. Poi due anni di ripresa e di crescita a due cifre: +15% nel 2015, +11% nel 2016. Un risultato quasi esclusivamente appannaggio delle esportazioni, che incidono sul fatturato complessivo per oltre il 90%. Con performance di assoluto rilievo sul mercato Usa, tradizionalmente ostico con le produzioni estere (l’import soddisfa solo il 5% delle esigenze), un mercato che da solo rappresenta il 57% del totale mondiale, nel quale i costruttori italiani sono i primi fornitori stranieri.
La nautica italiana eccelle particolarmente negli yacht, dove il nostro Paese è leader mondiale, ma è al top anche nel segmento emergente dei Maxi Rib, i super-gommoni, e nella cantieristica velica di grandi dimensioni, una nicchia di forte impatto. Sul fatturato complessivo, però, la produzione vale il 56%, il rimanente 44% si divide tra accessoristica (27%), motoristica (9%) e refit & service, rimessaggio e servizi costieri, con il residuo 8%.
La filiera della “piccola nautica”
Dire nautica italiana vuol dire soprattutto micro e piccole imprese. Dalle grandi navi agli yatch il fascino e la bellezza di un’imbarcazione dipendono certo dal suo design, ma a comporre il suo vero e completo look, e quindi la sua capacità di distinguersi e farsi notare in mezzo a tutte le altre, è tutto ciò che rappresenta il “su misura” che il committente ha richiesto: dagli interni agli arredi, dall’apparecchiatura di plancia e poi via via ai letti, le cucine, gli armadi, le apparecchiature di sicurezza e gli impianti di ogni tipo.
Tutte le “ricchezze visibili” e tangibili della nave sono quasi esclusivamente realizzate e installate da piccole e piccolissime imprese. Tutti specialisti di altissima qualità, veri artisti del manufatto su misura.
La filiera della cosiddetta “piccola nautica” include le micro e piccole imprese con fatturato non superiore ai 5,1 milioni. Nel 2015 era composta da 2.773 imprese con oltre 11mila addetti complessivi (di cui quasi il 72% dipendenti), generando ricavi per 934 milioni e redditi per 58 milioni. Il 68,7% di queste imprese lavora in conto terzi, il 6% in proprio, il 25,3% in forma mista.
All’interno della filiera la manutenzione (refitting) è l’attività prevalente: impegna il 31,8% delle imprese con il 17,9% degli addetti, fattura il 15,4% del totale e genera il 30% dei redditi. Un ruolo significativo riveste anche l’intero complesso delle costruzioni, benché eterogeneo: rappresenta il 24,8% delle imprese, il 36,2 per cento dell’occupazione e il 42,3% dei ricavi.
Disaggregando i dati della “piccola nautica” su base regionale, per numero di imprese è leader la Toscana (17,6%), seguita da Liguria (15,6%), Sicilia (8,6%), Campania (8,2%) e Veneto (7,8%). Per ricavi la parte del leone è ancora della Toscana (21,7%) davanti a Liguria (17%), Lombardia (8,4%), Veneto (8,2%) e Sicilia (7,9%).
Uno tsunami ha colpito la filiera della “piccola nautica” a partire dal 2009. In soli cinque anni sono state spazzate via 446 imprese (-13,9%), quasi 3mila lavoratori sono rimasti disoccupati (-21,4%) con un picco tra i dipendenti (-23,9%), variazione ben più negative di quelle riscontrate nell’intero settore manifatturiero, che ha perso il 9,7% delle imprese, l’8,9% degli addetti e il 12,2% di dipendenti. Le imprese con dipendenti sono diminuite del 13,9%, calando al 52,9%, e la media di addetti per impresa si è ridotta da 4,4 a quattro addetti. Non tutte le micro e piccole imprese della filiera nautica hanno subito la crisi nella stessa maniera devastante: le più penalizzate sono state quelle patrimonialmente meno dotate, società di persone (-25,9&) e ditte individuali (-16,9%), mentre il numero di società di capitali è rimasto pressoché intatto (-2,9%).
Problemi, soluzioni, proposte
Negli anni della crisi, la politica non ha aiutato il settore, anzi. Provvedimenti fiscali come la tassa di possesso sulle imbarcazioni da diporto hanno allontanato dagli approdi italiani un gran numero di diportisti spingendoli verso i porti dei Paesi limitrofi (dove questa imposizione non era presente), contribuendo a ridurre ancora di più il mercato interno.
Di recente è stata registrata una inversione di tendenza (la stessa tassa sulle imbarcazioni è stata abolita) ma nel nostro Paese permane troppo spesso un pregiudizio negativo: possessore di barca uguale evasore fiscale, sia pure meno diffusa che in passato. Del resto, le modalità di accertamento legate allo stile di vita dei possessori di imbarcazioni, adottate dall’Agenzia delle Entrate, non hanno certamente incentivato la cultura nautica nel nostro Paese. Da qui la necessità di una inversione di tendenza che si fondi su una educazione alla cultura del mare.
Manca, inoltre, la percezione del valore economico e occupazionale della nautica e dei servizi costieri.
Dalla fotografia della filiera nautica emerge la necessità di incentivare e di valorizzare l’integrazione funzionale tra i cantieri e la rete dei sub-fornitori e componentisti specializzati, partendo dall’esperienza positiva dei distretti presenti in alcune regioni italiani e tenendo presente che anche il motore di questo comparto è l’artigianalità, che va quindi tutelata, stimolata e sostenuta.
Sul fronte dei servizi, è necessario cercare di attirare la clientela straniera, vista la situazione del mercato interno. Va snellita la normativa e vanno razionalizzati e semplificati regimi amministrativi e controlli, come nei Paesi concorrenti, dalla Francia alla Spagna, dal Montenegro alla Croazia, dalla Grecia alla Turchia. E va potenziata la rete infrastrutturale (porti e approdi turistici): il nostro Paese dispone di un porto o di un approdo turistico ogni 14,2 km, la Francia di uno ogni otto km e la Spagna di uno ogni 6,4 km.
Per ricapitolare: è ora di mettere in campo politiche industriali per l’indotto della nautica, vero depositario delle competenze e del know how dell’artigianalità del prodotto. Politiche industriali non rivolte solo al mondo dei grandi cantieri, ma anche alle pmi presenti sul territorio.
Politiche di supporto per i distretti della nautica
Oggi i distretti industriali sono di fronte ad un bivio: tanti cantieri hanno delocalizzato e così resta il vuoto sul territorio. Se la piccola e media impresa lavora solo per un grande cantiere muore. Per salvare i nostri distretti industriali che rappresentano la somma algebrica delle competenze delle pmi sono necessarie politiche di supporto all’internazionalizzazione mirate a potenziare l’attività rivolta all’export delle nostre imprese verso altri distretti mondiali (dalla Turchia alla Cina).
Il supporto all’innovazione
Occorrono politiche di supporto all’innovazione, alla ricerca e sviluppo per mettere le pmi nelle condizioni di essere più competitive sui mercati esteri. Il nostro paese è leader nella costruzione dei grandi yacht che rappresentano l’eccellenza del made in Italy. Una grande opportunità anche per le pmi che hanno bisogno di politiche mirate per affrontare la sfida del futuro.
Servizi di qualità
Dobbiamo rendere sempre più attrattivo il nostro territorio, il nostro mare, le nostre coste. Dobbiamo puntare su infrastrutture moderne e di avanguardia. Dobbiamo sburocratizzare la legislazione e tutta la valanga degli adempimenti amministrativi. Dobbiamo rendere l’Italia cuore attrattivo del Mediterraneo.