Quattro anni fa Franco se ne andava lasciando in tutti noi un profondo vuoto, un vuoto di umanità, di saggezza, di eticità, di rettitudine. Perché proprio questo era Franco Bianchi; un uomo retto, integro e coerente, di una coerenza che dimostrava ogni giorno sia nella conduzione dell’impresa di impiantistica elettrica che gestiva assieme ai figli nella sua Bologna, sia nella guida di CNA Installazione Impianti di cui era Presidente da anni. Anni difficili, segnati dall’inizio della crisi del cui arrivo Franco Bianchi fu uno dei primi ad accorgersi.
Fu Franco che volle con forza l’organizzazione di un seminario, che tenemmo a Rimini nel 2008, sul sistema consortile nel corso del quale vennero illustrati i dati di contesto, gli scenari del mercato dell’impiantistica e delineate le prospettive del mercato dell’energia. In quella occasione Franco fece una analisi lucida della situazione sostenendo la necessità di aggregazioni intersettoriali di diverse dimensioni e sotto diverse forme societarie, di aumentare la loro patrimonializzazione, di costruire un sistema sinergico per riuscire ad utilizzare al meglio i requisiti di ogni struttura e metterli a disposizione delle altre e lanciando l’allarme sui rischi che un orizzonte troppo localistico e limitato avrebbe potuto creare: “Tutto ciò – disse durante quel seminario – non è ottenibile se il governo delle “politiche” consortili resta ingabbiato in una mera dimensione provinciale. Se l’area di mercato di un Consorzio inizia oggi a passare da provinciale a regionale o, addirittura, nazionale, è a questi livelli organizzativi che si deve guardare per dare alle nostre aggregazioni imprenditoriali quel respiro strategico che permetta loro di affrontare le nuove sfide competitive che mercati sempre più complessi e segmentati pongono”.
Con la schiettezza che lo contraddistingueva Franco fu molto chiaro anche nell’individuare le responsabilità della difficile situazione in cui iniziavano a trovarsi le imprese e le economie locali fatte da centinaia di migliaia di piccole aziende che producono, che creano ricchezza ed occupazione e che costituiscono l’ossatura del nostro sistema economico ed il suo radicamento nel territorio: “Le banche – scrisse nella sua relazione al Consiglio Nazionale elettivo del 2009 – sempre solerti nell’offrire ai risparmiatori sofisticati prodotti finanziari all’interno dei quali, si è visto, erano contenuti titoli rischiosi e dalla dubbia solvibilità e sempre generose nel concedere fidi alle grandi imprese, hanno iniziato, e non da oggi, a tagliare i rubinetti del credito alle nostre imprese, a chiedere il rientro dei prestiti, a rifiutare, adducendo i più svariati motivi, la concessione di risorse per gli investimenti. Verrebbe da dire che le banche si sono dimostrate deboli con i forti e forti con i presunti deboli”.
Rilette ora, quelle parole assumono le vesti di una facile profezia, ma nel 2009, quando i contorni della crisi non erano chiari così come ci appaiono adesso, la cosa non era scontata. Così come non erano scontate le ragioni di una crisi che qualcuno, 6 o 7 anni fa, credeva passeggera. Franco invece la riteneva strutturale: “E’ certamente vero che la finanza ha precise e pesanti responsabilità – affermò nella stessa occasione – ma è utile anche fare valutazioni approfondite sulle origini strutturali della crisi all’interno di un modello produttivo fondato sul presupposto dell’espansione illimitata e sull’assorbimento da parte dei mercati mondiali esistenti di quantità sempre crescenti di produzione. Il sistema finanziario, al di là degli aspetti degenerativi e patologici, da tempo oggetto di inascoltate denunce da parte degli osservatori più attenti, ha svolto negli ultimi anni la funzione di sostegno e stimolo artificioso della capacità di acquisto. La finanza è diventata un fattore primario nella struttura delle grandi imprese i cui utili derivano, nella loro grande maggioranza, da speculazioni finanziarie. Tanto per fare un esempio, le tre maggiori case automobilistiche americane (General Motors, Ford e Chrysler) ricavano più profitti dal finanziamento all’acquisto di propri veicoli che non dall’attività industriale vera e propria”.
Furono queste considerazioni che portarono all’organizzazione del convegno di Milano nel 2010 che Franco volle titolare “Uscire dalla crisi” con il quale cercammo di dare un contributo fattivo nel delineare strategie e prospettive per il mercato dell’impiantistica. Vale la pena di riportare alcuni passi del suo intervento di introduzione ai lavori in quanto testimoniano la sua capacità di guardare lontano e di vedere, nonostante un panorama oscurato dalle nebbie della crisi, un orizzonte di speranza: “Negli ultimi dieci anni uno dei principali temi del cambiamento del settore delle costruzioni sta nella crescita di funzione e di importanza del comparto dell’installazione di impianti che è cresciuto sia in termini di numero di imprese, sia per quanto riguarda il numero degli occupati. Un edificio, sinora considerato come un involucro di mattoni all’interno del quale vi sono gli impianti, si trasformerà sempre più in un insieme di impianti contenuto da un involucro di mattoni”.
Con queste parole Franco Bianchi ha voluto indicare alle imprese del settore impiantistico quali potrebbero essere le prospettive per il comparto, le sue direttrici di espansione, gli sviluppi di mercato da governare. Il tutto, però, affiancato da un continuo processo di aggiornamento tecnico e crescita professionale, fattori che lui riteneva indispensabili, se non addirittura fondamentali per garantire l’evoluzione, anche culturale, dell’intera categoria. Franco non la prendeva bene quando, nel corso delle innumerevoli iniziative alle quali partecipava, sentiva qualche installatore dire: “Ma perché devo cambiare? Ho sempre fatto cosi!”
Quella dello stare al passo con il cambiamento era per lui quasi una ossessione, consapevole che, soprattutto nelle piccole e piccolissime imprese, se non si cambiava continuamente, se non si riusciva ad capire in tempo le mutevoli richieste del mercato e ad interpretarle in modo adeguato, il pericolo era in agguato. E’ per questo che andava spesso controcorrente stimolando gli altri imprenditori a non cullarsi sugli allori, a non dare sempre tutto per scontato e soprattutto a cercare di guardare oltre.
Grazie Franco, grazie di tutto.