L’istituto del reclamo e mediazione prevede l’innalzamento del valore della controversia da 20.000 a 50.000 euro per gli atti impugnabili notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018.
Tale modifica introdotta dall’articolo 10 del D.L. n. 50/2017 rende obbligatorio, nell’ambito del processo tributario la procedura del reclamo mediazione per valori al di sotto dei 50.000 euro, senza la necessità di ricorrere al giudice.
Pertanto, la procedura in esame sarà applicabile:
- per valori fino a 20.000 euro con riferimento agli atti impugnabili notificati fino al 31 dicembre 2017;
- per valori inferiori a 50.000 euro con riferimento agli atti impugnabili notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018.
Dall’istituto della mediazione lo stesso articolo 10 al comma 3-bis, inserito in sede di conversione al D.L. n. 50/2017, sono esclusi i tributi che costituiscono risorse proprie tradizionali UE (art. 2, par. 1, lett. a), decisione 2014/335/UE-Euratom del Consiglio del 26 maggio 2014).
L’allargamento del limite entro cui le controversie dove parte in causa è l’Agenzia delle Entrate o l’Ente deputato alla riscossione coattiva (ora Agenzia Entrate Riscossione) è gestibile – in prima battuta – in via amministrativa con l’ente stesso che ha emesso l’atto, consente di raggiungere due importanti obiettivi:
- riduce il numero delle controversie che arrivano alle Commissioni tributarie, consentendo loro di dedicare più tempo ai contenziosi più importanti;
- consente alle imprese di gestire e magari risolvere in via amministrativa e senza ricorso all’onerosa prestazione del professionisti ammessi alla giurisdizione tributaria (commercialisti ovvero avvocati) gli atti amministrativi nel quale viene formalizzata una pretesa.
Rinviando alla lettura della Circolare 29 marzo 2012, n. 9/E dell’agenzia delle Entrate per entrare nel merito dell’istituto della mediazione tributaria, è bene ricordare che il “reclamo-mediazione” impone un ulteriore fase riflessiva all’Agenzia delle entrate di 90 giorni per valutare in una analisi costi/benefici, se conviene o meno percorrere la strada del contenzioso. Le valutazioni che vengono poste in essere da un ufficio diverso ed autonomo rispetto a quello che ha emesso, vanno oltre la correttezza delle elucubrazioni o le valutazioni di merito effettuate nell’atto di accertamento o, più in generale, dell’atto impugnabile emesso dall’agenzia delle entrate. Le valutazioni devono includere:
- incertezza delle questioni controverse;
- grado di sostenibilità della pretesa;
- principio di economicità dell’azione amministrativa.
Nella sostanza, l’istituto obbliga l’Agenzia delle entrate a valutare una seconda volta l’atto emesso sotto il profilo processuale, valorizzando l’esperienza maturata in tale senso dai propri uffici legali.
Proprio questo è il giudizio interno che potrebbe spingere i funzionari deputati alla sottoscrizione dell’atto di accertamento o, anche di diniego di un rimborso, ad una più attenta valutazione delle interpretazioni, dei ragionamenti posti a sostegno della pretesa o del diniego e, non da ultimo, degli elementi di prova volti a corroborare la pretesa. Anche se, ancora adesso, il fatto che l’ufficio legale deputato dell’amministrazione finanziaria a riesaminare l’atto di rettifica fa riferimento allo stesso direttore delle entrate (forte limite all’efficacia dell’istituto), non garantisce una perfetta autonomia di giudizio, è sempre vero che ottenere un giudizio negativo del proprio operato, anche solo nei confronti del proprio direttore, fa sempre paura e, pertanto, spinge all’emanazione di atti di accertamento concretamente fondati.