“Il fenomeno dei posti vacanti non è solo italiano ma europeo e le cause sono molteplici. Ci sono elementi macroeconomici ma anche culturali e sociali che devono essere indagati”. Giuseppe Croce, docente all’Università La Sapienza di Roma, ed esperto di politiche del lavoro, invita a evitare le letture semplificate per comprendere cosa sta avvenendo nel mercato del lavoro, le trasformazioni sociali e culturali, la necessità di migliorare l’analisi qualitativa dei tanti dati di cui disponiamo.
Domanda – Esiste una forte relazione tra aumento dei posti vacanti e reddito di cittadinanza?
Croce – E’ una generalizzazione da respingere. La carenza di personale ha molte cause. Innanzitutto macroeconomiche: la forte ripresa economica crea naturali tensioni nel mercato del lavoro. La verità è che il Covid ha prodotto una trasformazione profonda e in breve tempo che non si limita al rapporto domanda-offerta di lavoro ma tocca elementi sociali e culturali.
Resta il fatto che c’è una crescente difficoltà a trovare personale
La carenza di personale non è un fenomeno esclusivamente italiano ma riguarda tutta l’Europa. Una analisi del Financial Times su dati della Commissione Europea evidenzia che oltre un quarto delle imprese europee lamenta la mancanza di personale quale fattore che limita la produzione, nell’industria e nei servizi. Una quota che è circa il doppio rispetto alla fase pre-covid. Alcuni settori ad esempio soffrono la carenza di lavoro immigrato in quanto la pandemia ha reso più difficili i flussi. Ci sono settori dove c’è una questione di retribuzioni basse e altri come le costruzioni soffrono per la carenza di competenze.
Il tasso di disoccupazione non è omogeneo a livello geografico, in Italia e in Europa. Favorire la mobilità territoriale può essere una opzione?
La mobilità territoriale è un fenomeno multiforme. Nel lavoro specializzato è ormai qualcosa di fisiologico ed è il risultato di politiche di integrazione di cui Erasmus rappresenta un simbolo. Il nostro problema tuttavia è che i flussi in uscita sono ben superiori a quelli in entrata e questo è indicativo dell’attrattività del nostro Paese. Per altre qualifiche la mobilità è una necessità ma temo che inizino a evidenziarsi difficoltà per alcune città che sono attrattive per il lavoro ma con costi della vita elevati. Assistiamo anche ad altri fenomeni da leggere con grande attenzione. Penso ad esempio alle grandi dimissioni: non si tratta di persone che decidono di abbandonare il lavoro e andare al parco, ma durante la fase acuta della pandemia hanno modificato stili di vita e abitudini grazie allo smart working. Ci sono persone, specialmente nel settore dei servizi, che hanno cambiato lavoro trovandone uno di qualità migliore.
La fuga dalle città nel mondo anglosassone ha raggiunto dimensioni importanti. Anche in Italia accadrà lo stesso e come contrastarla?
Intanto c’è un tema di flessibilità delle retribuzioni per rispondere alla sfida della mobilità territoriale. Non sto parlando di gabbie salariali ma è evidente che serve uno sviluppo e un potenziamento della contrattazione a livello territoriale. E’ una questione rilevante, un processo che richiede molta attenzione. Mi chiedo cosa succederà nelle grandi città se la fuga di parte della popolazione raggiungerà dimensioni consistenti.
Torniamo ai posti vacanti. Ormai ci sono figure professionali e competenze praticamente introvabili. Quali soluzioni?
Ci sono rimedi a breve, medio e lungo termine da sviluppare. Nel medio termine ad esempio si deve migliorare l’orientamento scolastico, sostenere la mobilità territoriale, favorire il rientro di lavoratori italiani specializzati dall’estero, il lavoro da remoto e la riduzione del part-time involontario.
La formazione diventa sempre più un elemento fondamentale?
E’ evidente che occorrono interventi strutturali, dalla creazione dei nuovi ITS alla formazione post-scolastica nell’ambito di politiche per la formazione. Serve una riflessione sul contratto di apprendistato, si possono immaginare sussidi pubblici per compensare le imprese. Tuttavia dobbiamo considerare che la relazione di lavoro è molto più articolata rispetto al semplice scambio tra orario della prestazione e retribuzione. Ogni relazione dovrebbe rappresentare il reciproco investimento che migliora la stabilità del rapporto di lavoro e la competitività del sistema. Ciò che si può notare è che entrambe le parti non investono nella relazione, ognuno concede il minimo e riceve il minimo e la conseguenza è che la relazione termina troppo presto.
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