La Sardegna investe sempre meno nelle sue infrastrutture che, senza la dovuta manutenzione, invecchiano sempre più. Invecchiano le strade e i porti dell’isola, mentre un po’ di cura viene riservata agli aeroporti e alle infrastrutture energetiche. Lo evidenzia una ricerca della CNA Sardegna che calcola il valore attuale delle opere pubbliche che attualmente insistono sul territorio isolano: infrastrutture del genio civile (strade, porti, aeroporti, infrastrutture di rete, etc.) e infrastrutture sociali (scuole, ospedali, edifici dell’amministrazione pubblica, etc.).
Quel che emerge da questi preoccupanti dati è che negli ultimi anni gli investimenti complessivi nelle infrastrutture sarde (sia le nuove opere che l’ammodernamento di quelle vecchie) non sono riusciti a compensare la perdita di valore dovuta all’invecchiamento e alla perdita di efficienza funzionale delle opere esistenti. Alla fine del 2014 – segnala la ricerca dell’associazione artigiana – il valore del patrimonio pubblico della Sardegna ammontava a 42,3 miliardi di euro, un dato che colloca la Sardegna all’undicesimo posto tra tutte le regioni italiane: ben al di sotto di regioni come Campania e Sicilia (ma anche di Puglia e Calabria), ma comunque al di sopra di Abruzzo, Molise e Basilicata. Si tratta di 3,1 milioni di euro per chilometro quadrato e 25 mila euro per abitante.
“Negli ultimi dieci anni il patrimonio pubblico regionale è invecchiato più di quanto sia riuscito a rinnovarsi – commentano Francesco Porcu e Mauro Zanda rispettivamente segretario regionale della CNA Sardegna e presidente di CNA Costruzioni -. Il motivo di questa situazione – aggiungono – va ricercato nell’impatto della recessione e delle politiche di austerity ma, soprattutto, nella sempre minore capacità di spesa degli enti locali”.
In Sardegna, infatti, gli enti locali hanno tradizionalmente un ruolo centrale in termini di spesa per le opere pubbliche. Nella media degli ultimi quindici anni gli enti locali dell’isola hanno sostenuto ben il 45% degli investimenti contro una media nazionale del 41%. Una quota che si è però progressivamente ridotta proprio a partire dal 2006, quando rappresentava oltre il 60% della spesa totale.
“Nel 2013 – spiegano Porcu e Zanda – le amministrazioni locali hanno investito in opere pubbliche, in termini di nuove opere e manutenzioni straordinarie, soltanto 500 milioni di euro, contro oltre un miliardo che veniva speso nel 2005 e nel 2006: è chiaro che questa flessione ha inciso negativamente sulla qualità delle nostre infrastrutture”.
Puntualmente, l’indicazione del deterioramento delle infrastrutture in Sardegna si ritrova anche negli indici Tagliacarne, che incorporano elementi legati alla qualità e al funzionamento delle opere includendo anche i livelli di spesa per la manutenzione ordinaria e straordinaria.
In base ai dati dell’istituto tra 2001 e 2012 l’indice complessivo sulla dotazione regionale si è infatti ridotto del -5%: sono soprattutto strade e porti a mostrare il deterioramento maggiore (mentre è migliorata la dotazione per quanto riguarda gli aeroporti e le infrastrutture energetiche).
L’analisi della CNA Sardegna
“Negli ultimi dieci anni il patrimonio pubblico regionale è invecchiato più di quanto sia riuscito a rinnovarsi – concludono Porcu e Zanda -. Il motivo va ricercato nell’impatto della recessione e delle politiche di austerity ma, soprattutto, nella sempre minore capacità di spesa degli enti locali che dal 2006 al 2013 hanno letteralmente dimezzato i loro investimenti per realizzare nuove opere pubbliche o ammodernare quelle esistenti.
Se è accertato che la Sardegna mostra un certo ritardo nella dotazione infrastrutturale anche rispetto ad altre regioni del Mezzogiorno (specialmente in termini qualitativi e funzionali) questa la riduzione delle capacità di spesa degli enti locali rappresenta oggi un fattore di criticità ancora più determinante.
Va infatti ricordato che quando si parla di infrastrutture come elemento in grado di influenzare in maniera determinante le dinamiche di sviluppo economico dei territori ci si deve riferire al variegato universo delle infrastrutture economico e sociali, un universo dove gli enti locali rivestono un ruolo centrale, non solo in termini di controllo, mantenimento e preservazione, ma anche in termini di pianificazione, riqualificazione e ammodernamento. La priorità – concludono Porcu e Zanda – è sbloccare e spendere i 500 milioni che i 377 comuni della Sardegna hanno in cassa ma non possono spendere (per il patto di stabilità), condizione necessaria per rilanciare gli investimenti e creare lavoro riqualificando e ammodernando la dotazione infrastrutturale dei territori come elemento decisivo per innalzare la capacità competitiva dei sistemi produttivi isolani”.