Il mercato del lavoro italiano è fortemente connotato dalla presenza di lavoratori indipendenti, che nel 2016 erano 5.447.388, pari al 23,9% dell’occupazione complessiva. Sono i risultati dell’analisi condotta dal Centro Studi Cna.
Tra gli “indipendenti”, più della metà (58,4%) sono autonomi che svolgono prestazioni manuali: artigiani, commercianti, agricoltori-allevatori, ovvero “piccoli imprenditori”. Seguono i liberi professionisti, cioè i lavoratori autonomi che esercitano professioni intellettuali (il 25,4% del totale), gli “altri indipendenti” (11,9%, composti dall’insieme dei coadiuvanti familiari, i soci di cooperativa e i collaboratori) e gli imprenditori veri e propri (4,3%), cioè coloro che “esercitano professionalmente un’attività economica organizzata”.
“Dai dati del Centro Studi CNA – commenta Claudio Corrarati, presidente della CNA del Trentino Alto Adige – emerge una naturale indole a voler fare da soli. Questo può da una parte essere molto positivo, ma dall’altra a medio e lungo termine rischia di mettere in difficoltà le persone che non riescono da sole ad affrontare la crisi. Nello stesso tempo è bene che questi dati vengano presi come spunto anche dal sistema scolastico e messi in rete per cercare di verificare quali siano realmente le opportunità di lavoro per i nostri giovani nei prossimi anni”.
Corrarati aggiunge: “Una cosa però è certa. Se da una parte il lavoro indipendente rimane una risorsa per la nostra economia, dall’altra presenta una serie di debolezze che possono trovare eventuali soluzioni attraverso politiche di incentivazioni mirate all’aggregazione temporanea o permanente di gruppi omogenei di lavoratori indipendenti, compresi eventuali sistemi innovativi di rete per l’accesso al credito. È necessario creare una cultura imprenditoriale e non abbandonare queste categorie che incidono non poco sul PIL della nostra economia, trovando forme semplificate per la gestione di tutto quanto ha a che fare con la burocrazia”.
L’importanza dei lavoratori in proprio nel mercato del lavoro italiano, secondo il Centro Studi CNA, emerge anche considerando che un milione di loro ha dipendenti e, quindi, offre un contributo non trascurabile all’occupazione complessiva del Paese (il 4,5% nell’ipotesi assai restrittiva di un dipendente per ogni lavoratore in proprio).
E se nel 2016 aumenta l’occupazione complessiva, per il lavoro in proprio è continuata la selezione. Come è noto, nel 2016 l’occupazione italiana è aumentata dell’1,3%. La crescita dei posti di lavoro ha però riguardato soltanto l’occupazione dipendente (+1,9%). L’occupazione indipendente ha invece accusato una riduzione di 0,5 punti percentuali rispetto al 2015, corrispondente a una perdita di 29.717 posti di lavoro.
La piccola impresa ha pagato il prezzo più alto in termini di occupazione. Infatti il numero dei lavoratori in proprio si è ridotto dell’1,6% rispetto al 2015 (con un calo di quasi 52mila unità) e la flessione ha riguardato tanto i lavoratori in proprio con dipendenti (-2,6%) quanto quelli senza dipendenti (-1,1%).
Anche nel lungo periodo il lavoro in proprio paga il prezzo più alto in termini di perdite occupazionali. Dall’inizio della crisi a oggi l’occupazione complessiva italiana si è ridotta di 332.510 unità. Il lavoro dipendente ha recuperato le perdite della crisi e nel 2016 risulta superiore dello 0,6% rispetto al livello del 2008 (in termini assoluti si tratta di 97.100 posti di lavoro in più rispetto a quelli dell’anno in cui scoppiò la crisi finanziaria). L’occupazione indipendente nel 2016 ha perso invece il 7,3% dei posti di lavoro esistenti nel 2008.
Complessivamente l’occupazione sembra aver risentito molto meno della crisi degli ultimi anni rispetto a quanto non sia accaduto al prodotto interno lordo. La perdita di posti di lavoro tra i lavoratori indipendenti e soprattutto la diminuzione drammatica del numero dei lavoratori in proprio, identificabili tra gli artigiani e i piccoli imprenditori (-10,4% è la perdita cumulata nel periodo 2008-2016), sembra avere trascinato verso il basso il PIL del nostro Paese