L’agroalimentare? E’ il motore del Made in Italy. Artigiani e piccole imprese ne sono i cavalli. E il carburante i prodotti di qualità: 801 tra Dop, Igp e Specialità tipiche geografiche, oltre un quarto delle vendite mondiali di prodotti riconosciuti.
L’agroalimentare rappresenta l’8,7 per cento del Pil nazionale, che tocca addirittura il 13,9 per cento se aggiungiamo il valore dell’indotto. Il tessile & abbigliamento arriva al 5,4 per cento, l’arredamento al 3,1 per cento.
Nel manifatturiero italiano l’agroalimentare è secondo solo al metalmeccanico. L’anno scorso ha totalizzato 36,8 miliardi di esportazioni, segnando un +7,3%: due volte e mezzo la crescita dell’export nazionale, attestata al +3,7%. Un’eccellenza firmata quasi totalmente da artigiani e piccole imprese.
Tra il 2007 e il 2014 il numero complessivo delle imprese della filiera alimentare, dalla produzione alla somministrazione, con un fatturato inferiore ai cinque milioni è salito del 6,8 per cento, da 230.109 a 245.779, con un picco (nel 2012) di 247.867 imprese, un calo nel 2013 e il ritorno alla crescita nel 2014. Negli stessi anni bui dell’economia emerge un passaggio preferenziale verso forme d’impresa più strutturata. Le società di capitali sono aumentate del 43,1 per cento (e ora rappresentano l’11 per cento del totale), a fronte di un +6,3 per cento delle persone fisiche (ora il 52 per cento complessivo) e un calo (-0,8 per cento) delle società di persone.
Nel periodo in esame gli addetti complessivi sono diminuiti dell’1,5 per cento, calando da 642.991 a 633.123, con un picco nel 2011 (707.339 unità) un forte calo nel 2012 e nel 2013 e una ripresina nel 2014. Disaggregando i dati, però, emerge che i dipendenti sono aumentati del 6 per cento circa (da 306.347 a 324.524) a fronte di un calo di quasi 10mila unità tra i non dipendenti.
Tra il 2007 e il 2014 il valore degli investimenti in beni strumentali mobili è cresciuto del 19,1 per cento, passando da 17.688 a 21.067 milioni, con un picco (nel 2012) di 21.560 milioni. Nonostante la crescita del numero totale delle imprese, l’incremento degli investimenti rimane mediamente elevato, marcando un incremento dell’11,5 per cento, dai 76.866 euro del 2007 agli 85.715 del 2014, con un picco di 86.980 nel 2012.
Significativo anche l’andamento dei ricavi e dei redditi. I ricavi sono cresciuti sia nel complesso che nella media. In particolare, in totale sono passati da 40.312 a 44.058 milioni (+9,3 per cento). In media da 175.185 a 179.258 euro (+2,3 per cento). I redditi, infatti, nello stesso arco di tempo sono diminuiti poco meno dell’uno per cento, da 4.285 milioni del 2007 a 4.247 milioni del 2014.
Eppure artigiani e piccole imprese dell’agroalimentare non riescono a esprimere pienamente tutte le loro potenzialità. Lo testimoniano le risposte di circa mille piccole imprese a un questionario della CNA. Sul banco degli accusati: la contraffazione, le difficoltà ad arrivare sui mercati internazionali, il ruolo crescente della Grande distribuzione organizzata con i tempi di pagamento che si allungano, l’invasione di prodotti agroalimentari d’importazione e, dietro l’angolo, il Trattato Transatlantico con gli Usa.
Per queste imprese la burocrazia è un incubo. Per avviare un’attività alimentare sono necessari 56 adempimenti. Il tempo sottratto all’attività per adempiere alle richieste burocratiche “ruba” fino a 15 giorni l’anno secondo il 14 degli interpellati, tra 16 e 60 giorni per il 48 per cento, oltre 60 giorni per il 38 per cento.
Tre intervistati su quattro ritengono che la normativa nazionale, scaturita per il 90 per cento dalle norme europee, rappresenti un elemento di svantaggio competitivo. Nel mirino anche gli eccessivi controlli. Il 60 per cento degli intervistati ritiene prioritario istituire una banca dati unica. Oggi sono 15 i soggetti preposti ai controlli, suddivisi fra quattro ministeri: Politiche agricole, alimentari e forestali, Economia e finanze, Salute, Sviluppo economico.
Per gli artigiani e gli imprenditori coinvolti nella indagine realizzata dalla CNA va razionalizzato l’intero sistema, riducendo il numero delle formalità. Va bene, quindi, accorpare tutte le competenze del settore in un unico dicastero per rafforzare il rapporto tra agricoltori e trasformatori. E vanno evitati i conflitti tra ministeri nell’interpretazione delle leggi, com’è accaduto nel recente passato con la questione dei tempi di pagamento fra imprese della filiera.