La congiuntura negativa che coinvolge i cantieri da quasi dieci anni ha comportato l’uscita forzata dal mercato pubblico di diecimila imprese in meno di sette anni.
Dalla fine del 2010 a oggi le 37.420 imprese qualificate sette anni fa sono diventate 27.620. La diminuzione è del 26 per cento.
La distribuzione dei dati su base regionale dimostra che la riduzione del numero delle imprese attive nel mercato pubblico ha riguardato tutte le aree del Paese, ed in alcune aree la flessione è stata più sensibile. Si tratta di regioni in cui, ad esempio sono, andati a esaurimento grandi investimenti (magari finanziati con fondi Ue), come in Piemonte o in Campania, dove il numero delle imprese attestate è sceso, rispettivamente del 32% e del 34 per cento. Anche in Umbria si sono fatte sentire le ripercussioni della chiusura dalla fase di ricostruzione post terremoto (imprese attestate giù del 45%). Il resto del lavoro lo ha fatto la crisi generale del mercato, con batoste pesanti anche in Veneto (-30%) e nel Lazio (-27 per cento). In dati assoluti Lombardia (3.621)e Campania (3.265) mantengono il primato dei costruttori interessati ai cantieri pubblici.
Se non ci sono gare le imprese non si attestano. Non c’è solo dunque il fenomeno dell’uscita dal mercato delle vecchie imprese stritolate dalla crisi, ma anche il mancato ingresso di nuovi imprenditori interessati al mercato pubblico. Quando viene a mancare la domanda pubblica espressa attraverso i bandi di gara, continuano ad attestarsi soltanto le imprese che hanno lavori in corso che sono obbligate a mantenere il proprio livello di qualificazione per tutta la durata del contratto.
Insieme alle imprese, la crisi ha colpito di riflesso anche le SOA. All’indomani della cancellazione dell’Albo nazionale Costruttori erano quasi 70. Ne sono rimaste 25.