Nel 2017 molta enfasi è stata posta sul recupero dei livelli occupazionali pre-crisi. Scarsa attenzione è stata invece posta sulle storiche rigidità del nostro mercato del lavoro, che continuano a relegare l’Italia al penultimo posto della graduatoria europea dei tassi di occupazione. Nell’Unione Europea, infatti, solo in Grecia la percentuale degli occupati rispetto alla popolazione attiva risulta più bassa di quella italiana.
La capacità del nostro Paese di creare occupazione appare particolarmente deludente se confrontata sia con quelle di Francia e Spagna, sia, soprattutto, con quelle di Germania e del Regno Unito
L’Italia si caratterizza in negativo anche per la presenza di squilibri occupazionali a livello territoriale di gran lunga più accentuati che negli altri paesi dell’Unione Europea. Nel nostro Paese, infatti, coesistono tassi di occupazione più bassi di quello della Grecia e tassi di occupazione prossimi a quello della Germania.
Nel primo gruppo, rientrano sei regioni meridionali, nel secondo le sole province di Bolzano e Bologna.
Nonostante la drammaticità di questi dati, che certificano l’esistenza di una Italia fortemente diseguale, il tema degli squilibri territoriali e, in particolare, del ritardo di sviluppo delle regioni meridionali, approfonditosi negli ultimi dieci anni, non sembra trovare posto nel dibattito politico.
Ci sarebbe bisogno di politiche di coesione territoriale, in grado di favorire l’imprenditorialità e di attrarre investimenti nelle regioni meridionali. Invece sembra quasi che si continui a fare finta che il problema del dualismo economico non esista, quando invece esso riguarda quasi la metà delle regioni italiane nelle quali risiede circa il 34% della popolazione attiva del nostro Paese.