Non sedie, ma sgabelli. Non tavoli, ma mensole. E per di più scoordinati, ad altezze non combacianti. Tovaglioli e tovagliette di carta. Bevande esclusivamente in bottiglia o in lattina e caffè “fai da te”. Posate monouso, di plastica, che tra poco saranno anche fuorilegge, in quanto a partire dal 2021 l’uso della plastica sarà bandito in tutta Europa.
Insomma, un manuale completo su come rendere scomoda la ristorazione. Le pagine del settimanale «Sette» de «Il Corriere della Sera»rilanciano l’osservatorio sulla burocrazia realizzato dalla CNA. Le cervellotiche disposizioni statali e locali evidenziate dall’indagine “Comune che vai, burocrazia che trovi”, oggi, trovano ampio spazio sul servizio a firma di Isidoro Trovato.
Il paradosso è che a prescrivere la scomodità per gli artigiani della ristorazione è la legge, la complessa e per molti versi incomprensibile norma che disciplina il consumo di prodotti alimentari direttamente in una rivendita artigiana. La ragione? Proteggere l’esclusiva specificità dei ristoranti.
Eppure, nonostante questo le eccellenze artigiane del settore agroalimentare, sono una delle rare realtà che continuano a crescere a dispetto della stagnazione dei consumi. Gli italiani spendono in un anno 85 miliardi di euro per mangiare fuori casa, circa 1.500 euro pro capite secondo l’indagine condotta da CNA Agroalimentare e CNA Turismo e commercio.
Per far consumare sul posto il cibo prodotto in laboratorio, l’artigiano è costretto a scalare un Everest di scartoffie. Servono 70 adempimenti di legge per avviare l’attività , altri 20 per consentire il consumo immediato dei prodotti. E, per evitare l’accusa di abusivismo, gli artigiani sono costretti a ottenere il titolo di esercizio di vicinato, per il quale possono essere indispensabili fino a 20 adempimenti e 140 ore di corso.