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Nel 2016 aumenta l’occupazione nelle regioni con più imprese artigiane

Sfiorano quota 300mila i nuovi posti di lavoro nel 2016, con un aumento dell’1,3%. Sono per l’esattezza 293mila. Tra i nuovi occupati si contano soprattutto le donne (+1,5%, per un totale di 144mila nuove lavoratrici), mentre l’occupazione maschile è cresciuta, ma meno (+1,1%, per un totale di 149 mila nuovi lavoratori).

Sono i risultati dell’analisi sull’occupazione condotta dal Centro Studi della Cna. Aumenta il lavoro dipendente, (+1,9%, 323 mila unità), mentre i lavoratori indipendenti diminuiscono dello 0,5% su base annua (30 mila lavoratori in meno). Un dato importante riguarda le province che nel 2016 registrano i livelli occupazionali più alti: nel 92% dei casi sono anche quelle che presentano un tasso di concentrazione delle imprese artigiane superiore alla media italiana. Questa correlazione si può notare nelle province di Reggio Emilia, dove il tasso dell’occupazione è del 68,2% e la quota di imprese artigiane sul totale delle imprese è pari a 34,61%; Lecco, con un livello occupazionale al 68,3% e una presenza di imprese artigiane rispetto al totale delle imprese del 33,5%; Belluno, dove si registra un tasso dell’occupazione al 68,8%, il terzo dato più alto del Paese e la quota di attività artigiane è del 31,9%. 

La crescita dell’occupazione complessiva riflette l’andamento del settore dei servizi (+1,8%), nel quale aumentano entrambe le componenti del lavoro dipendente (+2,3%) e indipendente (+0,4%). Nell’industria, invece, pur aumentando le unità lavorative alle dipendenze (+0,5%), si registra un calo nel numero di occupati totali (-0,5%), dato che risente fortemente della perdita di posti di lavoro nel settore delle costruzioni. Quest’ultimo, infatti, resta il settore più colpito dalla crisi economica degli ultimi otto anni, in cui si registra un calo, rispetto allo scorso anno, nel numero di lavoratori dipendenti del 2,7% e un calo nel numero dei lavoratori indipendenti del 6,9%.

Tornando al dato provinciale dell’occupazione, rispetto alla media nazionale fanno meglio le province di Caltanissetta (+10,4%) e Vibo Valentia (+10,0%), province in cui si registra anche il primato nella crescita dell’occupazione femminile. Nonostante la corsa dell’ultimo anno, però, la disoccupazione delle rispettive regioni resta a livelli da record nazionale.

La mappa dell’occupazione propone del resto una divaricazione tra nord e sud. Complessivamente riguarda il 572,% della popolazione, ma mentre nelle province di Bolzano (72,7%) e Bologna (71,8%) assistiamo addirittura a valori superiori alla media dell’Eurozona (65,9%) (sebbene ancora lontani da Svezia, 77,3%, Olanda 75,3% e Danimarca, che confermano il loro primato in Europa), le province di Reggio Calabria, Palermo e Caserta sono ancora la palo, rispettivamente con 37,1%, 37,4% e 38%.

Di pari passo alla ripresa dell’occupazione si è ridotto il numero degli inattivi, coloro che non stavano cercando un impiego e che non erano inseriti in percorsi di formazione e che oggi decidono di rientrare nel mercato del lavoro. Al Nord Italia il primato in questo senso, con riduzioni superiori alla media del Paese (Lodi –11,7% e Udine -10,4%), ma anche in alcune province del sud si registra questo fenomeno (Medio Campidano -8,6% e Bari -8,0%), sebbene sia proprio al sud che si concentrano gli scoraggiati, con picchi del 50% nelle province di Caserta e Crotone.

 

In valore assoluto, nel 2016, in Italia, gli occupati sono stati 22.757.838, ovvero, 330 mila lavoratori in meno rispetto al 2008, ultimo anno di crescita dell’occupazione prima della crisi finanziaria.

Da un’analisi di medio termine, si evince che l’andamento dell’occupazione ha investito in maniera differente i diversi comparti dell’economia. Il settore dei servizi, calcolato al netto del pubblico impiego, dopo una lieve flessione nel 2009, si è riposizionato su un trend di crescita che appare ormai consolidato. Questo settore nel 2011 aveva già superato i livelli occupazionali del 2008 e oggi registra 599 mila impiegati in più rispetto agli anni pre-crisi. Il settore dell’industria in senso stretto, invece, dopo aver toccato il suo minimo nel 2013 sta affrontando una fase di timida ripresa, anche se oggi, rispetto al 2008, registra ancora 387 mila lavoratori in meno. Infine, il settore che ha risentito maggiormente della crisi economica iniziata nel 2008 è quello delle costruzioni che oggi impiega 1.403.727 lavoratori, ma che otto anni fa ne impiegava 1.952.519, circa 548 mila in più.

 

Il calo complessivo del numero di posti di lavoro nel settore delle costruzioni ha investito in maniera piuttosto uniforme tutte le province italiane.

Il quadro, invece, si presenta più frammentato, a livello territoriale, per il settore dei servizi e dell’industria in senso stretto. Dai dati disaggregati geograficamente emerge che, in questi due settori, nel 2016, rispetto al 2008, ci sono province che registrano un aumento nel numero degli occupati e province che invece registrano un calo nel numero degli stessi. Nel settore dei servizi l’occupazione è aumentata in 43 province su 110, con picchi nelle province di: Macerata (+19,3%), Belluno (+17,5%), Roma (+14,3%) e Bologna (+13,6%), mentre si registrano nello stesso settore perdite consistenti di posti di lavoro nelle province di: Ascoli Piceno (-39,8%) e Bari (-20,4%). Nel comparto dell’industria in senso stretto, invece, sono 29 su 110 le province che, rispetto al 2008, registrano variazioni positive, con aumenti consistenti nel numero di occupati nelle province di Forlì Cesena (+41,5%) e Viterbo (+35,4%), nelle quali, in termini assoluti, oggi gli occupati sono rispettivamente 13.964 e 3.721 in più rispetto a otto anni fa. Le province di Ascoli Piceno (-64,1%), Reggio Calabria (-51,4%) e Bari (-34%), invece, sono quelle che maggiormente hanno sofferto la perdita di posti di lavoro in questo settore.

L’andamento dell’occupazione, nel comparto dei servizi e ancor più in quello dell’industria in senso stretto, ripropone una linea di rottura che attraversa l’Italia e che delimita un Centro Nord caratterizzato da province che mediamente hanno affrontato meglio la crisi occupazionale rispetto ad un Centrosud che registra perdite consistenti nel numero di posti di lavoro.

 

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