“Nel 2022 i costi energetici sono più che raddoppiati rispetto all’anno scorso, un problema che riguarda le imprese, i cittadini e che colpisce duramente un settore strategico, quello alimentare. In particolare tutte le attività che lavorano a ciclo continuo con macchinari alimentati a energia elettrica o con forni a gas, come i panificatori. Una categoria che, già da mesi, si trova costretta ad affrontare costi aggiuntivi per la produzione, a partire dal prezzo delle farine e dell’olio. Un mix pericoloso che per molti può significare a breve un’unica strada: la chiusura”. Il grido d’allarme è di Marco Simonazzi, presidente dei dolciari e panificatori di CNA di Reggio Emilia.
Il costo che le micro e piccole imprese pagano per l’uso dell’energia nel processo produttivo ha sempre rappresentato un elemento di criticità, anche in condizioni ‘normali’. Tant’è che CNA ha più volte denunciato che nelle fasce di consumo più basse (quelle nelle quali sono collocate le piccole imprese) si annidano i costi più elevati per unità energetica consumata (addirittura il quadruplo rispetto a quelle delle fasce più elevate).
“Il caro bollette sta diventando una variabile incontrollabile per le imprese della panificazione – prosegue Simonazzi – che distrugge bilanci e redditività aziendali. Non si può sopravvivere con aumenti del 300%. Questo andamento legato all’inflazione ci preoccupa molto perché il potere d’acquisto delle famiglie sta calando. Stiamo assistendo a un blocco dei consumi, nonostante gli operatori abbiano fatto ricadere sui consumatori solo parte dei rincari dell’energia e delle altre materie prime”.
In Italia ci sono quasi 20mila imprese di panificazione iscritte nel Registro delle Imprese: per il 70% si tratta di imprese artigiane e il rischio è che, a fine anno, molte di queste chiudano l’attività. Dati alla mano, la situazione è drammatica per i panificatori: “L’osservatorio CNA dice che il 13,6% di imprese non è più nelle condizioni di proseguire l’attività e il 21,2% sarà costretto a ridurre l’attività e conseguentemente anche l’occupazione”, sottolinea Simonazzi. “Considerando solamente la zona dell’Appennino reggiano e i nostri associati, il rischio è che oltre 50 dipendenti potrebbero rimanere senza lavoro, se non verranno messe in atto con urgenza misure di sostegno. Per ogni attività che chiude i battenti ci sono dipendenti che perdono lo stipendio e famiglie che, di conseguenza, si trovano in difficoltà economica”, conclude Simonazzi.