Si tratta di una grande occasione per applicare i principi dell'”economia circolare” in materia di riutilizzo di residui da edilizia all’interno di nuovi cantieri. Ma non sarà affatto facile. Il piano di ricostruzione delle strade vale 389 milioni di euro nella prima fase, a cui si aggiungeranno altri 200 milioni nel secondo stralcio.
Nel corso della presentazione del Rapporto Cave di Legambiente è emersa una certa sintonia tra Legambiente e l’Anas, società a cui l’associazione ambientalista riconosce – negli ultimi anni – il ruolo di “apripista” nel riutilizzo di materiali nel settore dei lavori pubblici.
Secondo i dati Legambiente (da Eurostat), in Olanda e Irlanda quasi tutti i materiali da demolizione e ricostruzione, il 97-98%, vengono riutilizzati in edilizia, per lavori pubblici o privati. D’altra parte la direttiva 2008/98/Ce impone di arrivare almeno al 70% di riciclo entro il 2020. Intorno al 90% di riciclo si collocano (nell’ordine) paesi come Danimarca, Germania, Belgio, Austria e Regno Unito. La Francia è al 63%, la Finlandia al 55%, la Svezia al 50%, la Spagna al 38% e l’Italia a un misero 9%.
Riutilizzare gli inerti da demolizione vuol dire sottoporli a processi prima di triturazione in cantiere e poi di lavorazione industriale, per renderli riutilizzabili. La loro convenienza in edilizia dipende da un complesso mix di fattori: il costo del materiale preso da cava, il costo del conferimento in discarica (come rifiuto) dei materiali da demolizione, la presenza di controlli sull’abbandono di “calcinacci” in discariche abusive, la presenza di un’industria del riciclo e dunque di un offerta di inerti riciclati di qualità e a buon prezzo, la presenza o meno di normative o capitolati dei grandi enti appaltanti che incentivino l’uso di inerti riciclati nei lavori pubblici.
L’Anas ha riutilizzato inerti da demolizione nei lavori per la Ss182 Trasversale delle Serre, con materiali utilizzati per fare il rilevato stradale. E per lotti della Ionica e della Ss 125 in Sardegna. Tuttavia le difficoltà sono ancora molte. Le nuove norme per il riutilizzo di terre e rocce da scavo, ad esempio, pongono vincoli esagerati per il riutilizzo di materiali. E spesso complicazioni nel processo approvativo provengono paradossalmente dal Ministero dell’Ambiente, dalla Commissione Via.
Ci sono stati in questi anni alcuni casi virtuosi come per il Passante di Mestre, ma per un insieme di circostanze “rare”. Lì hanno riutilizzato scarti di lavorazione di acciaierie come inerti. Si può fare in base alle normative, ma è successo anche perché in pianura il materiale da cava costa molto, perché c’era un’impresa che offriva quel materiale, e perché c’è stato un direttore lavori che si è assunto la responsabilità di firmare.
Tornando al caso terremoto, al riutilizzo delle macerie nei cantieri stradali, sussistono serie difficoltà, di fronte a paletti e vincoli al riutilizzo di inerti e all’obbligo di conferirli in discarica.
E’ oggettivamente complesso lavorare in loco le montagne di materiali da demolizione dei centri storici (per fare un esempio) di Amatrice e Accumuli, poiché è chiaro che va frantumato prima e poi lavorato in impianti industriali specializzati. Ma non è che smaltire i detriti in discarica sarebbe più semplice, si dovrebbe comunque caricarli sui camion e portarli a centinaia di km di distanza. Tanto vale riutilizzarli per la ricostruzione. E’ proprio questa una grande occasione per diffondere la cultura del riciclo di inerti, e soprattutto per far crescere l’industria del settore. Certo però non sarà facile: sicuramente c’è la spinta a fare presto con i lavori di ripristino, ma esiste anche la difficoltà oggettiva di coordinare molti Comuni ed altri enti diversi.