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Quando il riciclo è fashion. Dagli scarti al grande progetto della ‘Banca delle Pelli’

Sarà che viene da una famiglia che tratta la pelle da tre generazioni. Con il nonno che, in tempo di guerra, forniva le scarpe ai partigiani e alla nonna arrabbiata che lo sgridava, perché era tornato a casa solo con uova e conigli, rispondeva: “Soldi non ne avevano, cosa mi dovevano dare, un figlio?”. Sarà che il marito, come in tanti a Scandicci, la patria dei pellettieri, fa il contoterzista per grandi marchi e come tutti butta la pelle non utilizzata. Fatto sta che, a Simona Innocenti, 45 anni, si è accesa la lampadina: perché non raccogliere gli scarti di pelle, rigorosamente Made in Italy, la stessa utilizzata dalle grandi firme e, invece di buttarla, pagando, tra l’altro, alti costi per lo smaltimento, realizzarci altre borse, cinture, portafogli? E così è nata “Bisbag”, la sua impresa: due volte borsa, la resurrezione della pelle.

“Ho iniziato raccogliendo letteralmente da terra, nel laboratorio di mio marito Simone, gli scarti – racconta Innocenti -. Ma come si può buttare via una pelle così, italiana, certificata, per nulla nociva, quando in giro troviamo solo schifezze? Voglio tenermi il mio rifiuto, mi son detta, e così ho realizzato il primo cuore di pelle”. 

Nel 2009 l’idea, ma solo nel 2014 Simona trova davvero il coraggio di rischiare e aprire Bisbag. “Ho un’impresa unipersonale, due stagisti dell’alta scuola di pelletteria di Scandicci, due collaboratori esterni e dò da lavorare a cinque gruppi del comprensorio. E poi c’è Pietrino, mastro artigiano di 85 anni. Ha iniziato a lavorare quando ne aveva otto, certo non dico che si debba far così anche oggi, ma questo è un lavoro dove l’esperienza è tutto e se la scuola riuscisse a integrarsi meglio al mondo del lavoro otterremmo grandissimi risultati”.

“Vorrei assumere del personale – continua Simona – ma non esiste una legge regionale che aiuti una donna sopra i 29 anni. Questo per me non è business, ma solo il primo passo di un grande progetto”.

Salvare la pelle per salvare il Know how. E’ questa l’idea di Simona…

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