Grido d’allarme dei panificatori di CNA Toscana Centro che vivono un periodo di forte choc, stritolati tra rincari di costi di gestione, materie prime, consumi energetici e trasporti. A penalizzare artigiani e consumatori è soprattutto la strutturale dipendenza dell’Italia dalle forniture estere di frumento duro, tenero e mais, con un tasso di auto-approvvigionamento su base nazionale, rispettivamente pari a circa il 60% per il grano duro, 35% per il tenero e 53% per il mais, che espone particolarmente il nostro Paese alle turbolenze dei mercati internazionali.
L’escalation delle ultime settimane al confine ucraino – denunciano tutti gli operatori del settore di CNA Toscana Centro – ha innescato ulteriori tensioni sui prezzi di tutte le materie prime e in particolare su quelle agricole, inserendosi in una situazione di forte speculazione e grande incertezza già precedente all’attacco bellico e che gli operatori denunciavano da mesi. Le quotazioni di grano tenero, a livelli mai visti prima d’ora, hanno già conseguenze sul mondo della trasformazione e a cascata potrebbero ricadere presto sui consumatori. Il costo della pasta potrebbe superare il 10%, percentuale che si aggiunge all’aumento del 10% avvenuto a fine dello scorso anno. Le quotazioni del grano sono balzate del 5,7% nella sola giornata del 24 febbraio, subito dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, raggiungendo il valore massimo da 9 anni a 9.34 dollari a bushel.
“Tra Prato e Pistoia si contano circa 250 panifici, tra produzione e rivendita, e tutti viviamo lo stesso forte disagio legato a questi incrementi continui dei costi di materie prime, energia e carburante che non sembrano voler invertire la rotta e si ripercuotono pesantemente sui beni di prima necessità come pane e prodotti della panificazione, con effetti a cascata sui consumatori finali – spiega la presidente del mestiere Dolciari e Panificatori di CNA Toscana Centro, Alessia Fanti – Parliamoci chiaro, se la situazione non cambierà e non arriveranno aiuti per contenere il fenomeno, molti rischiano di dover rallentare l’attività o addirittura di chiudere, e questo deve essere evitato in ogni modo. Dall’inizio dell’anno stiamo cercando di resistere senza aumentare i prezzi, ma portare a due euro il costo di un filoncino da mezzo chilo, che già dopo la prima ondata di rincari costa 1.80, quando a maggio costava 1.50, è impensabile. A livello generale l’incremento è stato applicato anche a pizza e focacce, mentre sui dolci riscontriamo scarsità di merce per uova, latte e derivati che necessitano per produrre creme e farciture. Basti pensare che già negli ultimi mesi del 2021 sono stati abbattuti circa 13 milioni di avicoli a causa dell’influenza aviaria mandando in crisi anche il settore della produzione di pasta e pasticceria. La situazione poi è resa ancora più pesante per il continuo lievitare di ogni genere di materia prima, a partire dalla farina – fino a +38% per quelle di grano tenero e a +100% per quelle di grano duro – al grano, dai trasporti al packaging + 30%. Per non parlare dei costi dell’energia aumentati del 300%. Non solo. Le prospettive per i prossimi mesi sono tutt’altro che rosee, e pur volendo tirare la cinghia per non applicare rincari, restiamo davvero preoccupati per un futuro che ci appare fosco, in cui molto dipenderà da eventuali ulteriori aumenti – che non potremmo reggere – e dall’andamento del nostro lavoro”.
Di qui le proposte avanzate da CNA al Sigep di Rimini. “Bisogna ragionare in termini di filiera unica perché l’aumento dei costi riguarda tutti, produzione agricola, artigianato, commercio, industria e grande distribuzione organizzata – conclude Fanti – Solo restando uniti si può far fronte alla difficile situazione in essere, causata dall’aumento delle materie prime e dei costi dell’energia. Non è più possibile che la GDO continui ad ignorare le legittime richieste di riconoscimento degli aumenti di costo avanzate dalle aziende della filiera agroalimentare. Così come avvenuto per contrastare le drammatiche conseguenze di carattere economico e sociale derivanti dal diffondersi della pandemia, la risposta dovrebbe concretizzarsi nell’adozione di un ‘agrifood recovery fund’ per attivare un regime di aiuti straordinari”.