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Un Carnevale da duecentotrenta milioni di giro d’affari

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A Carnevale ogni scherzo vale. Ma un movimento economico vicino ai 230 milioni è tutt’altro che uno scherzo. Soprattutto se cresce a un ritmo quasi quattro volte superiore a quello del prodotto interno lordo. Numeri che testimoniano, anche in materie di feste, il ritorno alla tradizione. E al  momento di giocosa rottura rispetto al quotidiano che risale a oltre duemila cinquecento anni fa e avrà il culmine in martedì 5 marzo, Martedì grasso.

Per quest’anno il giro d’affari mosso dal Carnevale arriverà a 228,5 milioni di euro, otto milioni e mezzo più dell’anno scorso e 28,5 milioni più del 2017. La crescita relativa, quindi, è del 3,7% sul 2018 e del 9,25% sul 2017.

 A rilevarlo una indagine del Centro studi CNA condotta in collaborazione con CNA Turismo e Commercio tra le imprese associate alla Confederazione coinvolte nelle attività carnascialesche. Imprese che registrano in maniera crescente l’impennata di una nuova forma di turismo legata al Carnevale: il turismo esperienziale. Dalla realizzazione di maschere e di costumi alla produzione di piatti tipici, salati e dolci, sono sempre di più i turisti, italiani e stranieri, di ogni età e fascia sociale, che hanno voglia di partecipare, oltre che di assistere, di agire, di “sporcarsi le mani”.

Venezia in cima al podio

Con un giro d’affari stimato intorno ai 65 milioni (contro i 60 circa dell’anno scorso e i 55 del 2017) la parte del leone – è proprio il caso di dirlo – la svolge Venezia, capitale mondiale del Carnevale fino alla caduta della repubblica, quando la festa  fu soppressa dall’invasore francese.  La crescita del 2018 e la previsione per quest’anno dimostrano che il numero chiuso inserito l’anno scorso se, magari, ha ridotto l’afflusso in termini quantitativi, non lo ha di certo intaccato in termini economici. Al contrario. E questo anche grazie alla crescita del turismo esperienziale e al suo apporto qualitativo e a iniziative che cercano di rispondere alle nuove esigenze.

L’esperienza in maschera

Trenta botteghe artigianali che più veneziane non si può. Quattro percorsi alternativi alle “piste” maggiormente battute dal turismo mordi-e-fuggi che affligge il capoluogo e l’intera Laguna. E’ questo “Venice Original”, il progetto promosso da CNA Venezia per soddisfare i bisogni del viaggiatore più esigente. I percorsi sono dedicati, rispettivamente, ai “mascareri”, alle gondole, al vetro e ai linguaggi dell’arte. E cercano di far riemergere dal tessuto urbano  alcune botteghe artigiane, laboratori spesso piccoli e nascosti, per valorizzarli e valorizzare assieme l’anima di Venezia e delle sue isole. A cominciare dalle maschere, simbolo stesso del Carnevale, in Laguna ascese a vertici di raffinatezza ineguagliati, che i turisti  potranno vedere in via di realizzazione sotto i propri occhi.

Viareggio damigella di lusso

Alle spalle di Venezia è Viareggio a piazzarsi al secondo posto per movimento economico generato dal Carnevale. Per la fabbrica delle emozioni e del divertimento dei bambini di ogni età il giro d’affari legato ai festeggiamenti quest’anno dovrebbe toccare i 30 milioni, in ascesa tanto sul 2018 (28 milioni) quanto sul 2017 (26 milioni). Il nucleo motore del carnevale versiliano, ovviamente, è rappresentato dai carri allegorici che sfilano nel circuito ad anello del lungomare e mettono in mostra i tesori di una cittadina ritenuta la capitale dell’architettura italiana del primo novecento, tra edifici liberty, decò, eclettici. Le sfilate quest’anno sono cominciate sabato 9 febbraio e proseguiranno fino al Martedì grasso. Sfilate a parte, i carri e tutto quel che c’è dietro costituiscono un’attrattiva permanente.

I carri a nudo

Per scoprire che cosa ci sia dietro la complessa macchina organizzativa del Carnevale a Viareggio, in piedi un anno intero, bisogna andare alla Cittadella. Il complesso architettonico creato nel 2001 ospita sia il Museo sia  i laboratori artigiani. Il Museo – dedicato a Burlamacco, la maschera simbolo creata nel ’30 – permette di percorrere la storia del Carnevale dalla sua istituzione, nel 1925, attraverso tre percorsi espositivi e spazi esperienziali. Molto frequentato il laboratorio didattico dedicato alla manipolazione della creta e della “carta a calco”, più povera della cartapesta, materie prime delle opere d’arte issate sui carri, dove il visitatore anche inesperto può modellare e lavorare.

A poca distanza gli spazi artigiani, dai quali quest’anno sono usciti i tredici carri impegnati complessivamente nelle sfilate: nove di prima categoria (venti metri di altezza, dodici di larghezza, possono ospitare fino a 250 figuranti) e quattro di seconda, più piccoli. Qualche carro, come altri in precedenza, non è destinato alla pensione: alcuni pezzi rimarchevoli che in passato hanno sfilato per le strade di Viareggio sono ospitati in musei internazionali (a esempio, a Detroit) o riutilizzati altrove, è il caso del Carnevale di New Orleans.  

Ivrea, bronzo color arancia

Il terzo posto di questo ideale podio spetta a Ivrea. Il Carnevale nel capoluogo del Canavese dovrebbe muovere complessivamente 3,5 milioni (0,5 più del 2018) grazie, in particolare, alla manifestazione culminante: la Battaglia delle arance, celebrazione dell’orgoglio cittadino e delle virtù civiche alla quale arriva a partecipare oltre un milione di persone. Con un impatto economico su Ivrea ma anche con una importante ricaduta sulla lontana Calabria, da dove provengono le arance impegnate nella incruenta battaglia, il cui valore è calcolato intorno ai 250mila euro.

Da Cento a Putignano

A completare la top five le feste carnascialesche di Cento e Putignano. A Putignano si svolge un Carnevale tra i più antichi d’Italia: risale al 1394. Per paradosso, la festa per antonomasia dell’irriverenza è nata da un evento legato alla religione : il trasporto delle spoglie di Santo Stefano da Monopoli a Putignano per preservarle dalle incursioni saracene. Salutato dai contadini con un rito noto oggi come “festa delle propaggini”, danze mutuate da tecniche usate nelle viticoltura e nella vinificazione. Oltre all’età, il Carnevale di Putignano è singolare per la durata: parte il 26 dicembre, giorno dedicato appunto a Santo Stefano,  ed è contrassegnato da numerosi momenti originali, dedicati alla Candelora, alle donne, all’orso, al funerale di Carnevale.   

Anche il Carnevale di Cento è molto antico e la sua storia rivive perfino in un capolavoro: è stato immortalato dal Guercino in affreschi datati intorno al 1615. Ha esaurito più volte la sua vena ma è sempre rinato. Oggi è gemellato con “O Carnaval carioca”, quello di Rio de Janeiro. Le parate di carri allegorici attirano  sempre appassionati in gran numero. Da queste autentiche opere d’arte vengono lanciati oggetti ricordo realizzati per l’occasione. Ad aprire le sfilate la maschera locale Tasi, che indossa un frac e procede a braccetto con una volpe. E proprio il rogo del Tasi chiuderà i festeggiamenti.

Città che vai, festa che trovi

Da un capo all’altro d’Italia il Carnevale si festeggia praticamente dappertutto con iniziative più o meno originali. Le occasioni caratteristiche e storiche sono poco meno di un centinaio, in numero crescente rispetto anche al recente passato sulla scia della riscoperta delle tradizioni e della ripresa di festeggiamenti abbandonati con il passare del tempo. Festeggiamenti utilizzati, in molti casi, a fini economici diretti e come volano per business che durano tutto l’anno: valorizzazioni dei beni culturali e naturali, del turismo esperienziale, dell’enogastronomia, delle produzioni artigianali tipiche.

L’elenco sarebbe lunghissimo, ma si può comporre una mappa ideale (ma non esaustiva) dell’Italia carnascialesca, in aggiunta alle località della  top five.

In Trentino, ad Alba di Canazei e Penia si tiene il Carnevale Ladino, i cui festeggiamenti cominciano il 17 gennaio, festa di sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici: in questa circostanza si evocano i riti stagionali delle Dolomiti, di giorno con le Mascheredes e di notte con i Lonc che si aggirano per valli e paesi su lunghi trampoli.

A Verona un momento molto importante del Carnevale è il Venerdì grasso con la distribuzione degli gnocchi (che ricorda una rivolta del Cinquecento e l’assalto ai forni e ai depositi alimentari) presieduta dal Papà del gnoco, che impugna un forcone con uno gnocco infilzato.

A Fano quest’anno l’antico Carnevale sarà dedicato alle donne e tutti i festeggiamenti, a cominciare dai carri allegorici, saranno declinati al femminile.

A Offida, in provincia di Ascoli Piceno, si ricorda la caccia al bue – Lu bov fint – ricreato in cartapesta. Il Martedì grasso invece si tiene la sfilata dei Vlurd, centinaia di uomini e donne mascherati che danzano portando sulle spalle lunghi fasci di canne accesi.

Carnevale contadino a Montemarano, in provincia di Avellino, con tarantelle e altri tipi di ballo propiziatori, che hanno il compito di favorire una buona annata agricola e che sono stati portati in Italia e in Europa in festival ed eventi dedicati alla cultura contadina. I festeggiamenti cominciano giorno di Sant’Antonio Abate e si concludono la domenica dopo le Ceneri, con il funerale di Carnevale morto la notte del Martedì grasso.

Molto famoso, anche grazie agli emigrati che tornano per l’occasione e lo hanno pubblicizzato nei loro nuovi luoghi di residenza, è il Carnevale calabrese di Castrovillari, nel quale domina la farsa. In Sicilia, ad Acireale, le feste carnascialesche erano più che altrove nell’isola  occasione per deridere i potenti attraverso le maschere tipiche: Abbatuzzu, Domini, Baruni. Oggi nella cittadina in provincia di Catania, oltre che per assistere alla riproposizione delle antiche satire, si va soprattutto per le sfilate di carri allegorici e per il concorso dei carri in miniatura.

In tutta la Sardegna il Carnevale è occasione di rispolverare feste arcaiche il cui significato oggi è talvolta diventato ignoto. A Bosa, a Cagliari, nell’Ogliastra la festa culmina con il processo e il rogo di un fantoccio di pezza pianto dalla folla con un lamento grottesco. A Mamoiada, in Barbagia, il Carnevale comincia il 16 gennaio con un falò “padre” acceso davanti alla chiesa principale che poi viene propagato ad altri falò nei vari rioni e dà il via a canti e danze. Il Martedì grasso, invece, è il giorno della sfilata di Mamutones e di Issohadores, maschere locali che non hanno eguali.

La top ten dei piatti tipici

Frappe nelle loro varie denominazioni tra i dolci. A furor di popolo. E lasagna nelle diverse declinazioni tra i salati. Sono i piatti tipici di Carnevale preferiti dagli italiani, secondo una indagine condotta dal Centro studi della CNA.

Le frappe sono un impasto fritto (ma si sta facendo strada anche la versione più leggera, al forno) a base di farina, uova e zucchero, con aggiunta recente, talvolta, di altri ingredienti o con un “bagno” nella cioccolata fusa. Prendono nomi diversi da un capo all’altro dell’Italia con curiose comunanze.  Si chiamano frappe nel Lazio e chiacchiere in Campania, Lombardia, Piemonte e Sicilia; bugie in Liguria e ciarline in Emilia, fiocchetti in Romagna e cenci in Toscana; galani nel Veneto e crostoli in Friuli Venezia Giulia. A lunga distanza si piazzano i tortelli di carnevale (Lombardia e altre aree del Nord), gli strufoli o struffoli (in tutto il Sud, chiamati pignolata in Sicilia e in Calabria), le castagnole (nel Lazio, nelle Marche e in altre zone del Centro) e le ravioline fritte (Emilia-Romagna).

Minore varietà nelle pietanze salate. E’ il maiale ad accomunarle praticamente in tutto il nostro Paese e quando non è il maiale è un altro tipo di carne. Il Carnevale celebra la diversità e nel cibo di un tempo la carne segnava inequivocabilmente la diversità della festa. Il maiale entra anche nella lasagna napoletana (polpette, salame, latticini e ragù di carne gli altri ingredienti principali) e nel misto delle carni da ragù dei vincisgrassi marchigiani (con la besciamella), mentre ha un ruolo minore, ma pure è presente, nella lasagna alla bolognese. Ma la lasagna (di solo grano o anche di spinaci, assumendo un colore verde) ormai si condisce praticamente con tutto: ragù vegetale, pesce, crostacei.  A lunga distanza dalla lasagna si piazza la polenta, condita a sua volta da sughi di carne ricchi e alquanto grassi, a esempio salsiccia e spuntature di maiale. Eppoi  la pasta al forno (il sugo è quello della lasagna alla napoletana, ma si usano i maccheroni o i loro derivati), i panzerotti fritti pugliesi (ripieni di carne), i ravioli al ragù con piccole differenze tra una provincia e l’altra del Nord, i fagioli con il maiale mangiati in grande quantità a Ivrea dopo la Battaglia delle arance.  

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