“L’accesso al credito è uno dei problemi maggiori delle nostre imprese. Approfittando dei timidi segnali di ripresa che si percepiscono in diversi settori, molte imprese stanno pensando a nuovi investimenti, ma sono scoraggiate dalla permanente carenza di sostegno finanziario. Servono strumenti innovativi e aggiuntivi rispetto ai percorsi tradizionali di accesso al credito. Ed è per questo che la CNA ha organizzato il convegno, ad altissimo livello, sul crowdfunding che si tiene oggi”. Lo ha affermato il presidente nazionale della CNA, Daniele Vaccarino, intervenendo al convegno “Il crowdfunding. Operatività e prospettive di sviluppo”, organizzato dalla CNA in collaborazione con Disec (Centro di ricerca della Link Camp University) e Cotec (Fondazione per l’innovazione tecnologica”. Aprendo il convegno, il responsabile del dipartimento Politiche Industriali di CNA, Mario Pagani, ha sottolineato “l’enorme diminuzione del credito alle imprese, e in particolare alle piccole imprese, durante la crisi. In sei anni dal novembre 2011 al novembre 2017, lo stock di prestiti alla società non finanziarie e alle famiglie produttrici è calato di quasi 190 miliardi di euro. E non c’è speranza che la situazione possa tornare a quella di prima”. Per Pagani, “il problema del credito è soprattutto un problema delle piccole imprese. Nel tempo il meccanismo di selezione si è irrigidito al punto da rendere indispensabile la possibilità di riuscire a reperire risorse fuori dal sistema bancario. Da qui l’impegno della CNA ad avviare approfondimento e riflessione su possibili altre strade, a cominciare dal crowdfunding. Uno strumento che non può risolvere da solo il problema del credito alle piccole imprese, ne siamo consapevoli, ma può sicuramente dare una mano. Nel contempo vigilando su come verrà declinato, perché in Italia spesso quando si adottano provvedimenti per le Pmi riguardano di solito solo le medie imprese”.
La necessità di trovare, irrobustire e rendere concretamente operativi strumenti che si sviluppano a margine del sistema bancario tradizionale è stata affrontata dal professor Raffaele Galano, direttore del Disec. “Il crowdfunding si sta dimostrando un’autentica alternativa alla ricerca di canali creditizi per le imprese”. Ce n’è bisogno come il pane: “Una delle conseguenze più visibili della crisi è stata proprio la drastica riduzione del credito erogato alle imprese in generale ma soprattutto alle piccole imprese”. Tornando al crowdfunding, Galano ha spiegato che “dal 2015 ha subito una forte accelerazione che lascia ben sperare. Certo, sopravvivono rischi di frode e di illiquidità ma il crowdfunding si sta irrobustendo e le previsioni per il futuro sono molto importanti”. Nei prossimi anni è destinato a crescere nel mondo tra il 17 e il 21 per cento ogni dodici mesi. Le ricerche degli analisti sull’entità dell’aumento concordano. Ma qualche osservatore ipotizza addirittura un incremento esponenziale che, una volta diventato di uso comune lo strumento, potrebbe vedere la torta del crowdfunding raddoppiarsi e triplicarsi in breve tempo. Come, sia pure con piccoli numeri, è già capitato in Italia.

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, attraverso le piattaforme crowdfunding in Italia tra il 1° luglio 2016 e il 30 giugno 2017 sono stati raccolti complessivamente 138,6 milioni. Nel 2012 questo importo era prossimo allo zero.

Di certo, il crowdfunding è una modalità di finanziamento della quale si sentirà parlare sempre di più. E, anche se al momento può funzionare di sicuro solo in alcuni campi specifici –  in altri si verificherà alla prova dei fatti – può rappresentare un’utile modalità aggiuntiva ai percorsi tradizionali di accesso al credito. Niente male per l’Italia, dove il tradizionale banco-centrismo non favorisce le imprese, soprattutto quelle piccole. In un Paese a imprenditoria diffusa è giocoforza che si facciano strada strumenti innovativi e alternativi, sia pure con tempi e modalità meno fluidi rispetto a quelle dei mercati esteri, a cominciare dagli apri-pista anglosassoni, storicamente avvantaggiati per motivi prima di tutto culturali.

Strumenti nuovi ai quali le imprese chiedono di agevolare la valutazione dell’idea e del progetto, troppe volte assente, o quasi, nella cultura bancaria generale. Strumenti nuovi sui quali ha deciso di focalizzarsi la CNA, partendo appunto dal crowdfunding, destinato a crescere anche per la maggiore sicurezza garantita dal regolamento Consob sull’equity crowdfunding, in vigore da quest’anno. E proprio da tale strumento è partita una riflessione con il Disec (Centro di ricerca della Link Campus University) e il Cotec (Fondazione per l’innovazione tecnologica).

 

Che cos’è il crowdfunding (donation, reward, lending, equity)

Il crowdfunding consiste nella raccolta di piccole somme di denaro da molti sottoscrittori tramite Internet e i social network. Si declina in quattro modelli (che talvolta possono essere ibridizzati tra di loro):

donation (erogazioni liberali)

reward (prevede una remunerazione simbolica)

lending (sostanzialmente micro-credito)

equity ( finalizzato alla raccolta di capitale di rischio vero e proprio).

L’equity crowdfunding

Disciplinato per la prima volta in Italia nel 2012, dall’anno scorso è stato esteso a tutte le Pmi purché la campagna sia veicolata su piattaforme autorizzate. Dall’inizio di quest’anno è in vigore il nuovo regolamento Consob che, tra l’altro, obbliga i gestori di portali per la raccolta di capitali online ad aderire a un sistema di indennizzo o a stipulare una copertura assicurativa.

Le prospettive

Ma il crowdfunding quali prospettive di crescita possiede in Italia? Stime del Politecnico di Milano lo segnalano in crescita complessiva con punte più marcate nell’equity e nel lending. Anche il lending dall’inizio di quest’anno è disciplinato da nuove norme: la Legge di Bilancio 2018 ne ha disposto la tassazione dei proventi, con un’aliquota alla fonte del 26%, omologando di fatto il lending a tutti gli altri strumenti di natura finanziaria.

 

Le chiavi del successo

Al contrario di quanto comunemente si possa pensare, una buona normazione del settore può servire a farlo crescere. Il Far West non giova né agli investitori né alle imprese, rischia di trasformare  uno strumento necessario a entrambi in una bolla che lo lascerebbe morire lasciando sul campo cadaveri e feriti. Conducendo magari alla conclusione che nel credito non possano esistere strumenti diversi da quelli tradizionali. Invece, nel lending e nell’equity in particolare, fattore chiave del successo delle piattaforme sarà la loro affidabilità, la loro capacità di stimare il rischio creditizio, così da minimizzare il pericolo d’insolvenze.

Le imprese che  hanno più bisogno di strumenti nuovi – artigianali, micro e piccole – sono le più difficili da analizzare. Su questo aspetto potrebbe essere utile, magari, con modalità tutte da costruire, il coinvolgimento delle associazioni di categoria e forse dei loro strumenti nel settore credito. Soggetti utili a garantire non solo informazioni puntuali sulle imprese stesse, ma anche semplificazione delle analisi e, di conseguenza, del loro costo. Soggetti che, in futuro, potrebbero dar vita a partnership con intermediari di provata efficienza e solidità.

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