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Videostoria. Pochi, ma Tornabuoni. E il mercato li insegue

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Una cigar lady su cento fumatori non basta a dire che il sigaro è un oggetto prettamente maschile. Perché dietro le quinte c’è una storia diversa: quella delle tabacchine e delle sigaraie. A raccontarcela, Gabriele Zippilli, protagonista di CNA Storie di maggio e titolare della Compagnia Toscana Sigari. Quella del famoso Mastro Tornabuoni. Richiamo alla manualità degli artigiani e omaggio al cardinale Nicolò Tornabuoni, ambasciatore mediceo alla corte di Francia. Fu lui, nel 1574, a inviare allo zio vescovo di Sansepolcro i semi di tabacco poi donati a Cosimo I de’ Medici che diffuse la coltivazione nel Granducato. Gabriele è un fumatore appassionato di sigaro, tanto da costruirsene una fabbrica che produce due milioni di pezzi l’anno, come lui scherza.

Il marchio della filiera corta, sostenibile e solidale

Qui il ciclo si apre e si chiude: il tabacco coltivato con metodi ecosostenibili, raccolto manualmente, curato con legno di quercia dei boschi circostanti, viene cernito dalle esperte tabacchine nei vari gradi di fascia e ripieni, e poi stoccato nell’attesa di proseguire il percorso che trasformerà le foglie in ottimi sigari tradizionali. Tutto il processo è alimentato interamente da energia rinnovabile: “facciamo ampio utilizzo di energia rinnovabile, abbiamo 200 kW a tetto che ci danno tutte le energie disponibili, anzi, ne mettiamo in rete per larga parte – spiega Gabriele-. Utilizziamo legno del territorio per la cura agricola e cippato e biomasse per riscaldamento. Abbiamo un’azienda che ha un’impronta carbonica minore pensabile. Fino al cellophane che è compostabile”.

Le scelte di Gabriele e Michela

Imboccare la strada della sostenibilità è una delle tante, e importanti scelte, portate avanti da Gabriele con la moglie Michela. Sempre dietro le quinte, eppure sempre al suo fianco. L’azienda è per entrambi una grande famiglia, che di recente ha aperto le porte a Tediana, fuggita dall’Ucraina. Due figli e un marito rimasto a combattere in Ucraina. “L’abbiamo assunta qualche mese fa, e ci ha ripagato in maniera eccezionale lavorando con tanta dedizione e coscienza per l’azienda” racconta.

Il Kentucky e il territorio a cavallo tra Toscana e Umbria

Siamo nell’Alta Valle del Tevere, a cavallo tra Toscana e Umbria. Questo è il territorio italiano dove il tabacco Kentucky è stato importato per la prima volta. Da qui è partita la storia di emancipazione delle tabacchine: sono loro addette alla selezione delle foglie, essiccate sulle pertiche, e pronte per il passaggio nelle mani esperte delle sigaraie, cui è affidata la lavorazione successiva. Il sigaro è la sintesi di “una tradizione secolare tramandata oralmente, racchiusa in un manufatto rendendolo molto particolare. E questo concetto è apprezzatissimo dal mercato perché abbiamo una crescita continua abbastanza importante”. Il Mastro Tornabuoni si trova in una doppia versione: poco più di metà della produzione è interamente lavorata a mano. Il resto, a macchina. Un prodotto ad alta artigianalità, ricercatissimo. Due milioni l’anno non bastano a soddisfare una domanda che cresce, anche oltre i confini nazionali. Ma più che un limite, questa, è una scelta. Come dire: non è la Compagnia Toscana Sigari a inseguire il mercato, è piuttosto il mercato che insegue i Tornabuoni. “Essendo una filiera veramente corta, dobbiamo partire da una produzione che va incrementata, dalla manodopera che continuiamo a formare e attrezzature che continuiamo a comprare”. Un processo lento, come lunghi sono i tempi di stagionatura dei sigari. “E quindi – osserva Gabriele- abbiamo per fortuna qualche difficoltà a seguire il mercato”.

Non è la Compagnia Toscana Sigari a inseguire il mercato, è piuttosto il mercato che insegue i Tornabuoni

Tabacchine e sigaraie: due storie di emancipazione

L’artigianalità è tutta nelle mani delle donne: “La sigaraia è donna perché è più attenta; ha una manualità maggiore, ha una costanza produttiva maggiore; ha una qualcosa in più rispetto all’uomo che magari riesce a fare anche un buon prodotto però non riesce a essere costante nella produzione. Anche le tabacchine, impegnate in quella fase premanufatturiera, sono quasi tutte donne. Due belle storie di emancipazione femminile di questo territorio perché le tabacchine furono le prime a portare dei soldi in famiglia in una società rurale che viveva soprattutto di baratto” racconta Gabriele.

Le tabacchine furono le prime a portare dei soldi in famiglia in una società rurale che viveva soprattutto di baratto

Il mercato può aspettare, perché l’azienda funziona, e va bene così. I pilastri sono manualità e formazione. L’apprendistato non esiste: qui si assume e basta. E si impara dalle mani esperte delle due maestre sigaraie, in pensione, che non abbiamo avuto la fortuna di incrociare. Ma la loro presenza si percepisce nell’attenzione e nella cura di queste giovani donne. Ogni pezzo che passa per le loro mani è una miscela di terra, manualità e tradizione.

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